
Ho chiesto a lei di autodefinirsi. E ha risposto: «L'Intelligenza Artificiale (AI) è la capacità di una macchina di simulare il comportamento intelligente umano, come apprendere, ragionare e risolvere problemi. Grazie a algoritmi e dati, le macchine possono eseguire compiti che normalmente richiedono l'intelligenza umana». Entro questi confini, con una divisione fra grandemente entusiasti e fortemente preoccupati su ciò che appare sia una soluzione sia un problema, oggi molto si dibatte nel timore di una “dittatura degli algoritmi”. A parte le questioni etiche, i vantaggi pratici e i timori di qualcosa che possa sopravanzare l’umano creare, uno dei campi più controversi dell’AI è quello del diritto, che ha fra i maggiori esperti europei il messinese Oreste Pollicino. 49 anni, laureato con lode nella sua città e formatosi tra Bologna, Bruges e Oxford, è ordinario di Diritto costituzionale e Regolazione dell’Intelligenza Artificiale nell’Università Bocconi di Milano, dove dirige anche il Master in Law of Technology and Automated Systems. Tra le altre cose, a Bruxelles presiede il Dicopo – Centre on Digital Constitutionalism and Policy ed è uno dei pochi italiani presenti nel Plenary dell’Ue per il primo Codice di condotta per l’IA di uso generale. Autore di molte pubblicazioni, fra cui la voce “Potere digitale” nell’Enciclopedia del Diritto, nel suo più recente libro, scritto con Pietro Dunn, “Intelligenza artificiale e democrazia” (Bocconi University Press), affronta il tema dell’IA non solo come questione giuridico-tecnica, ma come banco di prova per la tenuta dei nostri valori costituzionali. Adesso è stato nominato Coordinatore del Comitato Data Governance e AI Compliance (voluto dalla scuola di Politiche Economiche e sociali). Domani 19 giugno a Taormina, Pollicino parteciperà all’incontro “Le lezioni americane e i confini tra umanità e tecnologia”, organizzato da Taobuk e dedicato all’AI. A lui abbiamo rivolto alcune domande.
Che cos’è e a cosa serve il Comitato Data Governance e AI Compliance?
«È un organismo tecnico, il cui scopo principale è supportare l’attuazione in Italia dell’AI Act europeo (regolamento approvato nel 2024). Non si tratta solo di un organo consultivo, ma di un luogo di dialogo e confronto tecnico-scientifico, dove si elaborano soluzioni concrete per favorire la creazione di un ecosistema normativo e operativo in grado di rendere effettive le nuove regole sull’AI. Il Comitato vuole essere un ponte tra istituzioni, imprese, accademia e società civile». Come si rapporta con le istituzioni e cosa può fare per esse? «Si propone come un interlocutore tecnico di riferimento per le istituzioni nazionali e locali. Può offrire supporto nell’elaborazione di linee guida, raccomandazioni operative e modelli di best practice che consentano di tradurre i principi dell’AI Act in strumenti applicabili nella realtà quotidiana. Inoltre, il Comitato favorisce il dialogo tra settore pubblico e privato, aiutando le istituzioni a comprendere le esigenze delle imprese e a raccogliere le istanze della società civile, così da costruire politiche inclusive e realmente efficaci».
Da coordinatore, qual è il suo compito?
«Favorire la creazione di quella che definirei un’“architettura della fiducia”. Ciò significa guidare i lavori del Comitato affinché si sviluppino proposte concrete per una governance dell’IA basata su trasparenza, accountability (responsabilità, nda) e tutela dei diritti fondamentali. Il programma di lavoro prevede lo sviluppo di strumenti di co-regolazione, il monitoraggio dell’impatto dell’AI Act sul tessuto produttivo e sociale, e l’attivazione di canali di confronto stabile con imprese, enti pubblici, mondo accademico e società civile». Nel suo libro lei parla anche di «architettura dei diritti nella società degli algoritmi».
Come dovrebbe essere creata?
In Europa e in Italia si è già fatto qualcosa? «L’architettura dei diritti deve poggiare su tre pilastri: regole chiare, strumenti di enforcement (azioni per il rispetto delle norme, nda) efficaci e una cultura diffusa della responsabilità. In Europa si è fatto molto con il Gdpr, il regolamento per la protezione dei dati, e ora con l’AI Act, un primo tentativo globale di regolamentare l’intelligenza artificiale in modo sistemico. In Italia, la sfida è attuare queste regole senza limitarsi a recepirle formalmente, ma creando un ecosistema che ne garantisca la concreta applicazione, anche grazie a comitati come quello che coordino e ad altri strumenti di co-regolazione».
Con quale possibilità di fronte a una tecnologia, come quella dell’AI, che ogni giorno produce nuovi sviluppi a livello sovranazionale?
«La possibilità esiste e dipende dalla capacità delle regole di essere al tempo stesso solide nei principi e flessibili nei meccanismi di adattamento. L’AI Act adotta un approccio basato sul rischio, proprio per garantire che le norme non siano superate dagli sviluppi tecnologici, ma possano evolvere insieme a essi. A livello sovranazionale, questo richiede un impegno costante delle istituzioni europee e nazionali nel monitoraggio, nella revisione delle regole e nel coinvolgimento attivo di tutti gli attori dell’ecosistema».
Lei ha anche spiegato che l’AI mette sotto stress concetti come uguaglianza, libertà d’espressione, protezione dei dati. Si può essere ottimisti?
«Sì, si può e si deve essere ottimisti. L’intelligenza artificiale rappresenta una sfida, ma anche un’opportunità per rafforzare i diritti fondamentali. Il diritto deve tornare a essere una forza generativa, capace non solo di reagire ai rischi, ma di orientare lo sviluppo tecnologico in modo coerente con i valori democratici. Il lavoro normativo già svolto in Europa dimostra che un approccio responsabile e lungimirante è possibile».
Lei ha scritto che il rapporto tra nuove tecnologie e valori democratici è un osservatorio privilegiato per indagare lo stato di salute dello stato di diritto: come stiamo, siamo molto malati?
«Non possiamo definirci “malati” in senso irreversibile, ma siamo sotto pressione. L’espansione dell’IA e delle tecnologie digitali mette alla prova l’effettività dei diritti fondamentali. Tuttavia, la capacità delle istituzioni di reagire con strumenti normativi innovativi come il Gdpr e l’AI Act dimostra che il nostro ordinamento conserva importanti anticorpi. La sfida ora è applicare queste regole e rafforzarle».
Non c’è dubbio che l’AI, anche con l’uso delle immagini, diventa strumento per creare fake news (altro argomento di cui lei è esperto) sempre più simili al vero. Quali strumenti legali possono combattere questo uso?
«Sul piano europeo, il Digital Services Act e il Digital Markets Act pongono le basi per un maggiore controllo della disinformazione online. L’AI Act stesso interviene sui sistemi ad alto rischio, che potrebbero includere quelli destinati alla generazione automatica di contenuti fuorvianti. Occorrono inoltre meccanismi di trasparenza algoritmica, codici di condotta e sistemi di segnalazione rapida dei contenuti dannosi, così come una stretta collaborazione tra piattaforme, autorità pubbliche e società civile».
Come può un cittadino normale non farsi irretire dai vantaggi apparenti dell’AI e non diventare una pedina dei sistemi informatici mondiali?
«Il primo strumento è la consapevolezza. Serve investire nella formazione digitale, sin dalla scuola, affinché i cittadini - e i giovani in particolare - sviluppino senso critico e capacità di valutazione dei rischi e dei benefici dell’IA. Le istituzioni devono promuovere programmi educativi e campagne di sensibilizzazione per rendere trasparente il funzionamento dei sistemi algoritmici e i loro possibili effetti sulla vita quotidiana».
Un’ultima domanda: lei che è costituzionalista alla Bocconi, ci spiega qual è il ruolo delle Università per “governare” in positivo le novità tecnologiche?
«Le Università hanno un ruolo cruciale: devono essere luoghi in cui si formano non solo competenze tecniche, ma anche consapevolezze etiche e giuridiche. Devono promuovere un dialogo interdisciplinare tra diritto, tecnologia, economia e filosofia, per costruire modelli di Cultura giuridica, apertura al dialogo tra discipline e attenzione al contesto europeo».

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