Una sola rete di tlc, a disposizione di tutti gli operatori, con vantaggi per la concorrenza e per il Paese. Se ne parla da tempo, e non tutti sono d’accordo, ma adesso il governo mette il piede sull'acceleratore con il vicepremier Luigi Di Maio che vuole «chiudere il dossier entro fine anno».
Parlando a 'Non è l’arena' su La7, Di Maio ha sostanzialmente confermato le indiscrezioni sulla volontà di favorire una fusione tra la rete di Tim e quella di Open Fiber. «Stiamo lavorando per creare le condizioni affinché si crei un unico player italiano che permetta la diffusione per tutti i cittadini di internet e banda larga», ha detto, assicurando che «non c'è nessuna volontà di fare espropri proletari, lo faremo dialogando con tutti e pensando ai posti di lavoro. Io credo che entro la fine dell’anno anche il dossier Tim vada chiuso».
L’operazione, che coinvolge aziende private e quotate in Borsa e che quindi non può essere imposta d’imperio, stando alle indiscrezioni prevede l’introduzione di un sistema di remunerazione della rete (che tornerebbe in regime di monopolio) che renderebbe 'interessante' l’integrazione tra le infrastrutture. In pratica, si tratterebbe di una riedizione del modello Terna o Snam, con la fissazione in anticipo del ritorno sugli investimenti e quindi con un profilo di rischio sostanzialmente inesistente per gli azionisti. Per definire la cornice regolamentare serve però una norma legislativa che potrebbe arrivare, anche se alcune fonti ne dubitano, attraverso un emendamento a qualche decreto in fase di discussione o, come quello definito 'Semplificazioni', che deve però ancora essere emanato.
Il problema è anche che si tratterebbe di un vero e proprio riassetto regolamentare, per il quale non ci sarebbe
quindi ancora nulla di concreto. Se pure si riuscisse a mettere a punto la legge, oltre tutto, molto altro resta da fare. In primis vanno 'convinti' tutti i protagonisti, che dovrebbero superare le reciproche resistenze e dare probabilmente vita a una newco indipendente con l’ingresso di altri soggetti: non sarà un caso che per arrivare a un
embrione di accordo commerciale Tim e Open Fiber hanno impiegato tre anni.
La prima parte in causa è Tim, che dovrebbe innanzi tutto dare un valore preciso alla rete, scorporarla (un processo
volontario di societarizzazione è già partito ed è sul tavolo dell’Agcom) con tutte le difficoltà del caso in termini di
debito e personale e poi conferirla al nuovo soggetto o direttamente a Open Fiber, che però appare chiaramente troppo piccola per assumere un carico del genere. Un processo lungo e complesso, su cui non è affatto detto che la compagnia telefonica, attualmente oggetto di una dura battaglia interna tra i due principali azionisti Vivendi e Elliott (smentita la convocazione di un cda straordinario per discutere un cambio di governance), voglia impegnarsi.
L’altro soggetto coinvolto è appunto Open Fiber, dove però gli azionisti Enel e Cdp potrebbero avere idee opposte su come procedere. L'amministratore delegato della società elettrica, Francesco Starace, ha più volte chiarito di essere contrario ad «accrocchi societari», mentre la Cassa, fresca di nomine fatte proprio dal governo in carica, anche in virtù della propria presenza nel capitale di Tim che ha valore 'strategico', potrebbe avere un atteggiamento più favorevole: una soluzione, secondo alcune fonti, potrebbe allora essere la 'sostituzione' di Enel con altri soggetti, come per esempio F2i.
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