L’effetto spread, o meglio l’effetto del rialzo dei tassi dei titoli di Stato italiani, comincia a mordere. Con un impatto sui conti pubblici che oggi ha il "timbro" dell’Istat: 1,7 miliardi in più di spesa per interessi passivi fra luglio e settembre 2018. Il differenziale per convenzione riferito a quanto rendimento pagano sul mercato i titoli Btp decennali italiani in più rispetto ai corrispettivi tedeschi (bund) presenta il conto.
In realtà, il problema non è tanto lo spread quanto l’aumento dei rendimenti italiani. Schizzati a maggio, e poi nuovamente in estate-autunno per lo scontro sulla 'manovrà e complice l'uscita dal mercato della Bce: fino a oltre il 3,50% il decennale contro meno del 2% dello scorso aprile, prima di stabilizzarsi sotto il 3% una volta approvata la legge di bilancio.
L’istituto statistico, oggi, ha certificato che l’Italia ha sopportato una spesa per interessi passivi (quello che si pagano
a chi sottoscrive il debito pubblico tramite i titoli di Stato) pari a 16,1 miliardi nel terzo trimestre contro i 14,4 miliardi dello stesso periodo del 2017: un aggravio di circa il 12%. Nei tre mesi precedenti (aprile-giugno), nonostante l’alta volatilità, gli interessi passivi erano risultati in calo di circa un miliardo.
Colpa degli interessi sui Btp che il Tesoro deve pagare agli investitori nelle aste di debito pubblico: l’effetto combinato di un prezzo all’emissione inferiore, o di cedole superiori, determina un aumento del rendimento per chi ha comprato. Destinato, in parte, a durare: l’Osservatorio sui conti pubblici di Carlo Cottarelli stima per i prossimi anni, anche se lo spread scendesse, un aggravio ormai acquisito pari a 1,5 miliardi sul 2019, e un miliardo ciascuno nel 2020 e 2021, dopo un +800 milioni complessivo nell’intero 2018.
Se invece lo spread restasse in zona 250 punti base (oggi ha chiuso a 268), il maggior costo è stimato in 4,1 miliardi sul 2019, 6,6 miliardi nel 2020 e 8,6 miliardi nel 2021. Cifre in grado di 'mangiarsì una buona parte di legge di bilancio italiana, come ricorda implicitamente l’Istat quando nota che il miglioramento dell’avanzo primario nel terzo trimestre è stato quasi interamente bilanciato dalla spesa per interessi.
Caricamento commenti
Commenta la notizia