Le famiglie italiane riprendono a risparmiare, rispolverando una vocazione che la crisi sembrava aver cancellato. Ma per ricominciare a mettere da parte qualcosa c'è da sacrificare i consumi. La crescita delle entrate, infatti, non è tale da permettere di accantonare riserve e allo stesso tempo allargare i cordoni della borsa. Fin qui il confronto fatto dall’Istat tra il 2018 e l’anno precedente. Se, però, si guarda ai numeri pre-crisi, allora non c'è che da quantificare l’ammanco. Basti pensare che in termini di potere d’acquisto, misura principe per capire lo stato di salute delle finanze familiari, si registra ancora il 6,6% sotto i livelli di dieci anni fa. Intanto l’economia italiana, nel suo complesso, cerca di reagire. L’Ufficio parlamentare di bilancio parla di «primi, timidi, segnali di ripresa», prevedendo per i primi tre mesi dell’anno un Pil in rialzo dello 0,1%. Un dato che, sommato a quello sulla produzione industriale, mostra come il Paese stia "rispondendo positivamente» alle politiche del Governo, dice la viceministra all’Economia, Laura Castelli. Ma, avverte l’Upb, le prospettive di crescita restano «deboli» ed è «forte l'incertezza». Sulle possibilità di ripresa gravano «diversi rischi», scrive l'organismo indipendente che vigila sui conti pubblici. E non è solo una questione di dazi, Brexit o rallentamento della Cina. Lo spettro dello spread non molla la Penisola. Ne è una riprova il balzo registrato a inizio mattinata. Timori sul futuro che potrebbero avere spinto le famiglie a non bruciare gli stipendi. Dopo avere provveduto negli anni passati alle spese obbligate, da quelle per la casa a quelle per la salute, è facile immaginare che ora gli italiani pensino a irrobustire, per quello che è possibile, i loro portafogli. Ecco che la propensione al risparmio, la quota di reddito non spesa, è passata dal 7,8% all’8,1% in un anno, ma prima della crisi la fetta che veniva stornata era a doppia cifra. I consumi salgono dell’1,6%, ma perdono più di un punto percentuale rispetto al 2017. E, secondo l’analisi dell’Unione nazionale consumatori, sono comunque al di sotto dei valori che si registravano dieci anni fa. D’altra parte la crescita del potere d’acquisto, ovvero del reddito reale, non va oltre lo 0,9%. I numeri dell’Istituto di statistica arrivano dalla revisione dei conti nazionali, che come ogni aprile, vengono analizzati dal punto di vista dei principali attori del Paese. Nel complesso la situazione delle famiglie viene giudicata stazionaria, dato che il contributo alla crescita del Paese, "indebolita», è rimasto uguale. Il motore dell’economia continua a essere rappresentato dal mondo aziendale, ma la spinta delle imprese risulta fiaccata. D’altra parte i profitti scendono ancora. Un discorso a parte va fatto per la finanza. Sulla negativa performance del 2018, spiega l’Istat, ha pesato il venire meno degli aiuti dati per il salvataggio delle banche in crisi. Alla fine la posizione del Paese verso l’estero può ancora vantare un avanzo , seppure in calo. Tornando alle famiglie, l’Istat calcola anche il peso delle imposte dirette, in cui rientra l’Irpef. Nel 2018 il carico risulta in discesa, seppur lieve: al 15,9% dal 16,1% dell’anno prima. Ovviamente si tratta di un rapporto, quindi molto dipende dal denominatore: il reddito. Una voce che non è più solo un sinonimo di retribuzioni ma che è sempre più sostentata dalle pensioni. Tanto che l’Istat calcola 7,9 miliardi in più destinati alle prestazioni sociali. Insomma il Paese invecchia e i pensionati, di anno in anno, diventano azionisti più forti.