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Sanità, nuovi ticket in base al reddito: rischio stangata per chi guadagna più di 36 mila euro

Far pagare di meno a chi ha di meno e di più a chi ha di più: insomma i ticket sanitari saranno più equi secondo le intenzioni del governo (e del ministro Speranza) che punta in particolare a superare il superticket, quella tassa di 10 euro su visite ed esami, introdotta nel 2011, valida per tutti indistintamente (anche se non tutte le regioni l'hanno applicata integralmente). Ma questa rivoluzione dovrà essere fatta a costo zero mantenendo fermo l'incasso per lo Stato di 3 miliardi l'anno (1,6 miliardi di euro dal ticket sui farmaci e 1,4 miliardi dalle prestazioni specialistiche e ambulatoriali). Così c'è chi paventa una "stangata" per i ceti medi e medio-alti.

Come rileva il Sole 24 Ore attraverso alcune proiezioni effettuate in alcune regione, infatti, il rischio è che la nuova edizione del ticket potrebbe essere molto salate per quelle famiglie con reddito tra 36 mila e 100 mila euro.

Attualmente circa la metà degli italiani, a prescindere dal reddito, paga su visite ed esami un ticket “ordinario” fino al tetto massimo di 36,15 euro per ricetta. Gli esenti, cioè quelli che non pagano nulla, sono circa il 54%: si tratta di anziani over 65 anni, bambini under 6, il reddito familiare non deve però superare i 36 mila euro, malati con gravi patologie croniche, oltre a disoccupati (ma con reddito familiare basso) e titolari di pensioni minime over 60.

Altro rischio è che queste fasce alte possano rivolgersi alle strutture private che presentano tariffe sempre più concorrenziali rispetto al pubblico e quindi il peso del ticket verrà assorbito ancora di più dalla fascia media.

A non prevedere un super ticket, afferma la Fondazione Gimbe (Gruppo italiano per la medicina basata sulle evidenze), sono solo Basilicata, Sardegna, Valle d’Aosta e la Provincia autonoma di Bolzano.  «La situazione - spiega all’ANSA il presidente Gimbe, Nino Cartabellotta - è estremamente eterogenea e varia appunto da Regione a Regione. In alcune, infatti, il super ticket è applicato per intero, 10 euro, o in maniera ridotta, 3 euro. In altre è invece previsto in maniera proporzionale al valore della ricetta oppure proporzionalmente al reddito. Questo perchè la legge che lo ha istituito nel 2011 non prevede che sia obbligatorio e si sottolinea che le Regioni sono libere di deciderne le modalità applicative».

Una 'tassa' contestata da molti ma che, in realtà, non ha comunque portato gli introiti previsti, come rileva la stessa Corte dei Conti. La rilevanza economica del super ticket è nettamente inferiore a quella stimata: infatti, secondo la Corte, «il super ticket era previsto che determinasse maggiori entrate per 828 milioni di euro, ma in base ai dati rilevati con la tessera sanitaria nel 2016, la quota fissa riscossa era di poco inferiore alla metà, ovvero 413,7 milioni di euro». Dunque, commenta Cartabellotta, «il super ticket è una voce di entità modesta dal punto di vista economico complessivo. Va anche detto che, negli ultimi tre anni, il suo peso economico si è con tutta probabilità ulteriormente ridotto, poichè sono aumentati gli italiani che optano per il privato abbandonando il sistema sanitario pubblico». Inoltre, sottolinea, «va pure considerato il ribattezzato 'fondino' per il super ticket: 60 milioni di euro che lo Stato, con la Finanziaria 2018, ha previsto per le Regioni perchè queste riducessero appunto l'importo della tassa. Le Regioni si sono dunque suddivise tali fondi ma non ci sono evidenze che questi siano stati effettivamente usati per una riduzione del super ticket».

Attualmente le differenze regionali, come emerge dal recente Rapporto Gimbe 2019, riguardano sia le prestazioni su cui vengono applicati i ticket (farmaci, prestazioni specialistiche, pronto soccorso, etc.) sia gli importi che i cittadini devono corrispondere, sia le regole per le esenzioni.

Complessivamente, la compartecipazione alla spesa sanitaria da parte dei cittadini nel 2018 sfiora dunque i 3 miliardi: le Regioni hanno cioè incassato per i ticket 2.968 mln (49,1 euro pro-capite), di cui 1.608 mln (26,6 euro pro-capite) relativi ai farmaci e 1.359 mln (22,5 euro pro-capite) per le prestazioni ambulatoriali, incluse quelle di Pronto soccorso. Notevoli le differenze regionali: il range della quota pro-capite totale per i ticket oscilla da 88 euro in Valle d’Aosta a 33,7 euro in Sardegna; la quota pro-capite è di 61 euro in Veneto e Umbria, 58 a Bolzano e Trento, 56 in Liguria, 55 in Toscana e Emilia Romagna, 53 in Abruzzo e Friuli V.G., 52 in Basilicata, 48 in Lombardia, 47 nelle Marche, 46 nel Lazio, 45 in Molise, Puglia e Campania, 42 in Piemonte, 41 in Sicilia e Calabria.

Per i farmaci l’importo varia da 36,2 euro in Campania a 16 euro in Piemonte, mentre per le prestazioni specialistiche si passa da 64,2 euro in Valle d’Aosta a 8,5 euro in Sicilia. La spesa per ticket è cresciuta nel 2018 del 2,6% rispetto al 2017.

Quanto ai Super-ticket introdotti nel 2011, una 'tassa' di 10 euro sulle ricette di diagnostica e visite specialistiche ambulatoriali applicata integralmente da nove Regioni - e che Speranza ha dichiarato di voler abolire - hanno garantito entrate pari a circa 800 milioni di euro nel 2018, creando però, afferma il Codacons, «pesanti disparità tra cittadini».

In questo quadro estremamente variegato, un caso particolare è, ad esempio, quello dei pazienti oncologici: i malati di cancro in Italia sono circa 3.300.000, di cui quasi 700 mila in trattamento. Per loro, rileva la Federazione delle associazioni di volontariato in oncologia Favo, il Servizio sanitario nazionale spende circa il 14% della spesa sanitaria complessiva, una quota pari a 16 miliardi di euro nel 2018. Ma «nonostante l'innegabile impegno del sistema pubblico - evidenzia la Favo - il malato di cancro è chiamato spesso a mettere mano al portafoglio per sopperire ad una serie di esigenze sia di tipo medico che assistenziale, evidentemente non del tutto compensate dall’assistenza pubblica». Come ad esempio la necessità di effettuare accertamenti al di fuori del Ssn a causa delle lunghe liste d’attesa. Quanto alle singole spese, il 57,5% dei malati (corrispondenti a circa 1,9 milioni) ha speso per visite ed accertamenti diagnostici in media 406 euro l'anno (156,4 euro per prestazione, per una media di 2,6 prestazioni in un anno) e il 39,3% (pari a circa 1,3 mln) ha speso per trasporti in media 797,5 euro in un anno.

 

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