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Pensioni, i requisiti di età non cambiano: anche nel 2021 a 67 anni

I requisiti per l’accesso alla pensione di vecchiaia non cambieranno e resteranno pari a 67 anni anche nel 2021. La conferma arriva dal decreto del ministero dell’Economia appena pubblicato in Gazzetta Ufficiale sulla base dell’indicazione dell’Istat di una crescita di appena 0,021 decimi di anno della speranza di vita a 65 anni. Per la pensione anticipata rispetto all’età di vecchiaia resta valido il requisito di 42 anni e 10 mesi di contributi (41 e 10 mesi per le donne) oltre a tre mesi di finestra mobile, fino al 31 dicembre 2026, secondo quanto previsto dal cosiddetto Decretone.

Ancora per il 2021, a meno di modifiche nelle prossime manovra di bilancio, si potrà ancora usufruire per la pensione anticipata della cosiddetta Quota 100 che richiede almeno 62 anni di età e 38 di contributi.
La modifica dei requisiti di accesso dal 2021 dovrebbe avere cadenza biennale. L’ultimo cambiamento si è avuto nel 2019, quando ci sono stati cinque mesi di aumento, che hanno portato l'età di vecchiaia dal 66 anni e sette mesi a 67 anni.

Per questo biennio (2021-2022) però non ci saranno variazioni in ragione della scarsa crescita della speranza di vita a 65 anni. Oltre all’età minima bisogna avere almeno 20 anni di contributi. «La variazione della speranza di vita all’età di 65 anni - si legge nel Decreto pubblicato in Gazzetta - e relativa alla media della popolazione residente in Italia ai fini dell’adeguamento dei requisiti di accesso al pensionamento con decorrenza 1 gennaio 2021 corrispondente alla differenza tra la media dei valori registrati negli anni 2017 e 2018 e il valore registrato nel 2016 è pari a 0,021 decimi di anno. Il dato, trasformato in dodicesimi di anno, equivale ad una variazione di 0,025 che, a sua volta arrotondato in mesi, corrisponde ad una variazione pari a 0».

Il riferimento è alla legge del 2010 che stabilisce l'adeguamento dei requisiti di accesso al sistema pensionistico agli incrementi della speranza di vita. Quest’anno, grazie all’incremento di cinque mesi per ilpensionamento di vecchiaia e la sterilizzazione dell’aumento per quella anticipata l’uscita dal lavoro per vecchiaia è stata assolutamente minoritaria rispetto agli altri canali. Nei primi nove mesi del 2019 - sulla base dell’ultimo monitoraggio dell’Inps - le pensioni di vecchiaia liquidate sono state 63.926 a fronte delle 141.861 dell’intero 2018. In particolare sono state penalizzate le donne che a causa della parificazione dell’età con gli uomini nel 2018 (a 66 anni e sette mesi) e con il successivo incremento di cinque mesi del 2019 hanno dovuto rimandare il pensionamento di molti anni.

Caso emblematico è quello delle nate nel 1953 che in assenza del requisito contributivo per la pensione anticipata (41 anni e 10 mesi o in alternativa la Quota 100) ha dovuto rimandare l’uscita fino al 2020 mentre le loro colleghe più anziane di appena due anni (nate nel 1951) sono uscite nel 2012, con 60 anni di età e un anno di finestra mobile. I lavoratori che hanno la pensione interamente calcolata con il contributivo, quelli che hanno cominciato a versare dal 1996, possono chiedere la pensione anticipata a 64 anni di età - un requisito che resta stabile nel 2021 - purché abbiano almeno 20 anni di contributi effettivi e un ammontare della prima rata di pensione non inferiore a 2,8 volte l’importo mensile dell’assegno sociale: 1.282 euro nel 2019.

Per chi ha versato contributi dal 1996 se la pensione calcolata non è almeno pari a 1,5 volte l’assegno sociale (circa 687 euro per il 2019) l'uscita slitta a 71 anni. Per i lavoratori impegnati in attività gravose il requisito per la pensione di vecchiaia resta nel 2021 a 66 anni e sette mesi. (ANSA).

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