I diritti acquisiti non si toccano. Un principio sacro nelle architetture democratiche occidentali. Ma può valere, oggi, in un Paese in apnea, in cui centinaia di migliaia di lavoratori rischiano tra luglio e settembre di essere licenziati, con trentenni iperspecializzati condannati a un precariato a vita, di non rimodulare una vergognosa deriva che risale ai primi anni Settanta? Un Paese chiamato a riformare se stesso pena la perdita dei fondi del Recovery: dalla giustizia al fisco passando per pubblica amministrazione, appalti, pari opportunità. Siamo proprio sicuri che nel mazzo delle riforme ineludibili per volontà di Bruxelles non se ne possa inserire una in più per volontà politica e in ossequio a principi di equità e giustizia sociale? Insomma, lo diciamo con apparente brutalità: ma chiedere qualcosa ai baby pensionati - giacché si discute dell’opportunità di chiedere qualcosa a chi eredita beni per oltre 5 milioni di euro - è opzione così incommestibile? Dopo 48 anni saranno pure più che anziani, ma se la sono goduta eccome. Dunque...
La stagione delle baby pensioni
Correva il dicembre del 1973 quando il governo di Mariano Rumor inaugurò la controversa stagione delle baby pensioni, con un decreto del presidente della Repubblica (all’epoca Giovanni Leone) destinato ai dipendenti pubblici che avessero lavorato per 14 anni, sei mesi e un giorno, se donne sposate e con figli; meno generose (si fa per dire) le condizioni per gli altri, ossia 20 anni per gli altri statali, 25 anni per i dipendenti degli enti locali (in epoca pre-federalismo, ancora pochi). Andarono in pensione poco più che trentenni che avevano iniziato presto a lavorare, incassando oltre al denaro, quello che divenne un totem del sistema della contrattazione italiana: il diritto acquisito. La cui copertura viene però data in carico alle generazioni future. Quanto? Secondo alcune stime si tratta di circa 7,5 miliardi di euro l’anno – una volta e mezzo l’Imu sulla prima casa -, destinati a un plotone di baby pensionati. Quanti? Ne sopravvivono ancora mezzo milione, in origine a fruire del provvedimento furono in cinque milioni circa. C’è chi ha smesso di lavorare addirittura a 29 anni, i più “sfibrati” fra i 38 e i 40 anni. E visto che la loro aspettativa di vita stimata è di circa 85 anni, i baby pensionati hanno incassato durante la loro vita almeno il triplo di quanto hanno versato durante l’attività lavorativa. Escludendo quel che hanno portato a casa con doppi lavori al nero e il valore non quantificabile del tempo libero. Non se ne sono mai vergognati - “è la legge...” - ma andrebbero pubblicati gli elenchi perché quanto meno arrossiscano.