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Pensioni, il nodo di fine quota 100. Pensionamento di vecchiaia a 67 anni. Trattative in corso

Pensioni, il nodo di fine quota 100. Pensionamento di vecchiaia a 67 anni. Trattative in corso

Il contesto non sembrerebbe agevole per un intervento sulle pensioni. Eppure le pressioni a diversi livelli, tra il clima di piazza evocato negli ultimi giorni dopo il via libera allo sblocco dei licenziamenti e gli inciampi sulla strada lastricata delle riforme richieste dal Piano nazionale di ripresa e resilienza - giustizia e fisco in testa - uno spiraglio lo hanno aperto. Ne approfitta Andrea Orlando per convocare i sindacati: delle pensioni, è deciso se ne parla il 27 luglio. Sul tavolo, il nodo dell’ormai incombente fine di quota 100, con i sindacati che già da tempo c'entrano la questione sulla "flessibilità in uscita dopo 62 anni di età"; il ministro del Lavoro guarda invece con maggiore attenzione dalla parte opposta del mercato; quella dei giovani che nel mercato ci entrano, e di come offrirgli adeguate garanzie per il futuro.

La sfida - che secondo il governo non può guardare soltanto nella direzione dell’anticipo della pensione - porta in dote anche un terzo invitato che, tanto nelle parole quanto nei fatti, avrebbe la precedenza in questo frangente storico post-Covid piagato dall’emergenza economica: la riforma degli ammortizzatori sociali. In questo caso, di certo, il "come" e il "quando" sapranno raccontare molto anche dell’alchimia che sarà necessaria per trovare una sintesi sulle pensioni. Il welfare previdenziale, che spesso gode di lunghi tempi di gestazione, nella fase Recovery del Paese non sembrava infatti trovare lo spazio per uscire allo scoperto. Ma la convocazione di Orlando spariglia il quadro.

E Cgil, Cisl e Uil non perdono tempo nel ribadire la loro richiesta: un intervento complessivo sulla previdenza entro l’anno, partendo dalla Piattaforma unitaria presentata al Governo; i capisaldi - di quella che viene immaginata dai sindacati come una mossa «organica» - riguardano: flessibilità in uscita dopo 62 anni di età, 41 anni di contributi a prescindere dall’età anagrafica (già bocciata dai conti dell’Inps perché troppo costosa, oltre 9 miliardi a fine decennio), riconoscimento previdenziale dei lavori gravosi, rilancio della previdenza complementare, ripristino della piena rivalutazione delle pensioni e ampliamento della quattordicesima. La fine di quota 100 - che ha permesso il pensionamento anticipato di 253mila persone - bussa alla porta a fine anno: la misura (almeno 62 anni di età e 38 di contributi per l’uscita anticipa dal lavoro) lascerà il posto al pensionamento di vecchiaia a 67 anni come strada principale, a parte la possibilità di uscire con 42 anni e 10 mesi di contributi. I tempi stretti hanno accelerato probabilmente la convocazione del tavolo, che rimane comunque un modo per incontrare i sindacati e provare a calmierare, soprattutto su altri fronti, le acredini di questi giorni con gli annunci di mobilitazione. Il ragionamento di Orlando però è diverso non tanto sui contenuti quanto sul contenitore: meglio, sull'uscita e sull'ingresso da quel contenitore. Il ministro Pd ha provato, infatti, a smorzare gli entusiasmi pochi giorni fa, proprio mentre l’Inps presentava la sua relazione annuale: il dibattito sulle pensioni è «eccessivamente concentrato sulla flessibilità in uscita e sulla possibilità di anticipo dell’uscita dal mercato del lavoro», mentre bisognerebbe «concentrarsi sulle prospettive che riguardano in particolare gli assegni delle nuove generazioni».

Insomma, quello che il governo tenta di fare è di restare ancorati a un approccio sul merito della questione, valutando più che altro piccoli aggiustamenti. Tra le ipotesi scodellate per il dopo quota 100, introduzione di quota 102 (sempre 38 anni di contributi con 64 anni di età), proroga dell’Ape sociale, opzione donna, rafforzamento del contratto di espansione che introduce di fatto una sorta di "staffetta generazionale". Chi invece chiede maggior forza alla riforma, pensa al rischio del cosiddetto "scalone" (ovvero la possibilità che tra due persone con un anno di differenza anagrafica ci possano essere cinque anni di scarto lavorativo per l’uscita). Ora, dal quadro che ci si troverà di fronte non bisogna dimenticare che la partita sul sistema previdenziale era, almeno nelle intenzioni, seconda a quella sulla riforma degli ammortizzatori sociali. Con tutto il suo peso specifico sugli umori dei partecipanti al tavolo del 27. E che però ancora non è stata cancellata dalla lista delle cose da fare. 

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