Lo spettro del disastro nucleare ha allarmato i mercati dopo l’attacco alla centrale di Zaporizhzhia (Ucraina) da parte dei russi. Un vero e proprio punto di non ritorno in una guerra che si protrae ormai da 9 giorni, che ha pesato soprattutto sulle borse europee, lasciando relativamente al riparo Wall Street, dove i cali sfiorano il punto percentuale. Nel Vecchio Continente il tonfo è stato forte, con quasi 400 miliardi di capitalizzazione (393,71 per l’esattezza) bruciati in un solo giorno. Nel suo piccolo Piazza Affari ne ha mandati in fumo 36,14, che salgono a 83,96 miliardi dallo scorso 24 febbraio, giorno del primo attacco russo all’Ucraina. Uno scenario da brivido, con Milano in calo del 6,24%, Parigi del 4,97%, Londra del 3,59%, Francoforte del 4,39% e Madrid del 3,68% in chiusura, ancora lontano però dai livelli della Brexit del 24 giugno del 2016, quando il calo fu doppio. A salire sono stati i prezzi delle materie prime, a partire dal gas, che si è portato su nuovi record a 204,15 euro al MWh, con un rialzo del 26,94%, arrivando anche a guadagnare il 29,5% a 208 euro, nonostante le rassicurazioni di Gazprom che ha annunciato il regolare invio di metano in Europa attraverso l'Ucraina, con flussi che raggiungono 109,5 milioni di metri cubi. Ma hanno corso anche il greggio, con il barile sopra la soglia dei 110 dollari sia per il Wti (+3,17% a 11,14 dollari) sia per il Brent (+2,96% a 113,71 dollari) e l’alluminio (+4,13% a 3.716,5 dollari la tonnellata), di cui la Russia è un grande esportatore. Ma la tensione è cresciuta, come avviene ormai da giorni, anche sul fronte agricolo. Il grano ha raggiunto il prezzo record di 400 euro la tonnellata alla Borsa di Parigi, guadagnando il 38% in una settimana, mentre a Chicago ha guadagnato il 6,52% a 1.225,25 dollari ogni 5mila staia (bushel), mentre il mais è salito fino a toccare quota 773 dollari per 5mia staia. Forte tensione anche sul fronte monetario, con l’euro sceso sotto la soglia di 1,1 dollari, lasciando sul campo l’1,3% a 1,092 dollari. In calo anche la sterlina (-0,89% a 1,322 dollari), mentre è proseguito il crollo del rublo (-11,86% a 124,23 dollari), l’unica spia per misurare lo stato dell’economia di guerra della Russia. La Borsa di Mosca continua infatti ad essere chiusa dallo scorso 25 febbraio e i titoli quotati a Londra sono fermi dopo aver raggiunto valori prossimi allo zero. In aumento invece la possibilità di un’insolvenza sui titoli di stato di Mosca. I credit-default swap (Cds) sul debito russo a cinque anni sono infatti volati a 1.584 dollari, un valore che implica una probabilità implicita di default del 67%. Fiammata anche per il rischio crac del settore privato: Sberbank, una delle principali banche colpite dalle sanzioni, stamani ha visto volare i contratti Cds, che assicurano dall’insolvenza, a quasi 2.400 dollari dai circa 750 di inizio mese. Quanto alle azioni, le vendite si sono concentrate sul comparto finanziario, con Unicredit (-14,6%), Bper (-10,58% ) e Intesa (-9,01%) congelate anche al ribasso in Piazza Affari, come non si vedeva da tempo. Soprattutto per Piazza Gae Aulenti ha pesato l’esposizione in Russia, condivisa anche da Commerzbank (-10,27%) e SocGen (-10,03%). Sotto pressione il comparto auto con Stellantis (-7,61%) e i marchi del lusso da Volvo (-7,63%) a Bmw (-5,69%) e Mercedes (-3,67%), mentre Renault (-4,42%). titolare del primo produttore locale Avtovaz, ha scontato la forte esposizione nel Paese. L’addio alla Russia ha affossato infine il comparto petrolifero, in controtendenza con l’andamento del greggio. In una Piazza Affari esangue Eni ha ceduto il 7,3%. A Parigi è toccato a TotalEnergies (-3,63%), mentre a Londra ha sofferto soprattutto Shell (-4,65%).