La pizza «americana» non seduce i palati italiani e dopo sette anni Dominòs alza bandiera bianca. La lotta per conquistare «i clienti esigenti» nella patria della pizza, a colpi di «Honolulu hawaiian» (pomodoro, mozzarella, scamorza affumicata, prosciutto cotto, bacon, ananas e peperoni) e «Meatzza» (salsa Dominòs, mozzarella, salame piccante, prosciutto cotto, wurstel, hamburger, salsiccia), è terminata per il colosso americano con una sonora sconfitta. Nata in Michigan nel 1960, per poi espandersi con 18.800 negozi in 90 mercati in tutto il mondo, Dominòs Pizza era sbarcata in Italia nel 2015 con il primo ristorante a Milano, maturando in anni più recenti un obiettivo molto ambizioso: raggiungere la quota di 880 ristoranti entro il 2030. Ma il conto si è fermato mestamente a 29 locali, gestiti dal partner in franchising italiano ePizza Spa che, riporta il Financial Times, ha dichiarato fallimento all’inizio di aprile. Nell’ambito di una procedura concorsuale è stata concessa alla società italiana una protezione giudiziaria di 90 giorni dai suoi creditori, che ha impedito loro di chiedere rimborsi o sequestrare i beni aziendali, scaduta il mese scorso. A risultare fatale è stata soprattutto la pandemia. Perché, al suo arrivo in Italia, Dominòs puntava soprattutto sulla forza del suo sistema di consegna, ma con il lockdown e il boom del delivery lo scenario è cambiato: piattaforme come Deliveroo, Just Eat, Glovo hanno consentito anche a tante altre imprese, spesso più piccole e tradizionali, di consegnare a domicilio i propri prodotti. E così l’aumento della concorrenza e i palati incorruttibili degli italiani hanno messo il colosso americano con le spalle al muro. L’epilogo di Dominòs Pizza ricalca l’esperimento finito male delle ciambelle americane di Dunkin' Donuts. I primi negozi nel nostro Paese furono aperti a Roma nel 1999 ma ebbero vita breve e appena dopo tre anni si arrivò alla chiusura.