Sempre più definiti i contorni della riforma del Patto di stabilità e crescita, l’insieme delle regole di bilancio degli Stati europei per l’appartenenza all’Unione economica e monetaria. Il cuore sta nei piani di spesa a 4 anni (estendibili a 7 anni), che andranno concordati dagli Stati con la Commissione europea sulla base di una traiettoria tracciata dall’esecutivo comunitario per mettere sotto controllo il debito pubblico. In sostanza i Paesi Ue spenderanno come meglio credono i fondi pubblici, ma stando dentro date traiettorie. La messa a terra delle nuove regole si è però via via arricchita di paletti: «salvaguardie», li hanno chiamati i tedeschi. L’obiettivo era quello di rassicurarli su un rientro credibile del debito pubblico e del disavanzo dei Paesi meno virtuosi, finiti oltre ogni soglia dopo pandemia, guerra in ucraina e ricadute su energia e inflazione.
Così, nei piani di spesa degli Stati il debito dovrà scendere dell’1% annuo per chi ha un debito oltre il 90% del Pil e dello 0,5% annuo per chi lo ha oltre il 60% del Pil (il tetto fissato del trattato di Maastricht) ma al di sotto del 90%. Sul deficit si chiede un calo anche per i Paesi già entro la soglia del 3% prevista dai trattati: affinché scenda al 2% per i meno indebitati (ma sopra il 60% del Pil) e all’1,5% per i Paesi ad alto debito (oltre il 90%). L’ultima svolta in partita è stata il tentativo di riaprire la procedura automatica per disavanzo eccessivo, che prevede un aggiustamento dei conti (strutturali, cioè al netto delle componenti cicliche e di interventi non ricorrenti) pari allo 0,5% del Pil per chi sfora il deficit del 3% del Pil. I Paesi ad alto disavanzo hanno cercato di far sì che si parlasse di aggiustamento «primario», ovvero senza contare anche gli interessi del debito, tema sensibile per tutti i Paesi che come l'Italia fanno i conti con un fardello importante. I frugali si sono rifiutati.
Uscito dalla porta l’aggiustamento «primario» è rientrato dalla finestra ma solo come eccezione limitata: la Commissione nel valutare la procedura per deficit, secondo il nuovo compromesso spagnolo, terrà conto dell’aumento degli interessi sul debito tra il 2025 e il 2027 per «non compromettere l'effetto positivo del Pnrr». Sul punto è stata trovata un’intesa di massima franco-tedesca, allargata poi all’Italia e alla presidenza spagnola che l’ha tradotta in ipotesi di lavoro. Un accordo non è scontato, in sette gli Stati apparentemente contrari, ma non impossibile. A tutela degli investimenti figura l’ipotesi di considerare gli impegni presi per il Pnrr per avere l’estensione dei piani di spesa da 4 a 7 anni, sempre che contenga riforme significative e investimenti per migliorare la sostenibilità e la crescita.
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