La mobilità sanitaria interregionale in Italia ha raggiunto, nel 2021, un valore di 4,25 miliardi, cifra nettamente superiore a quella del 2020 (3,33 miliardi), con saldi estremamente variabili tra le Regioni del Nord e quelle del Sud. Lo evidenzia la Fondazione Gimbe in un rapporto. Lombardia (18,7%), Emilia-Romagna (17,4%), Veneto (12,7%) raccolgono quasi la metà della mobilità attiva, un ulteriore 25,6% viene attratto da Lazio (9,5%), Piemonte (6,8%), Toscana (4,9%) e Campania (4,4%). Il rimanente 25,6% della mobilità attiva si distribuisce nelle altre 14 Regioni e Province autonome. Complessivamente, l’86% del valore della mobilità sanitaria riguarda i ricoveri ordinari e in day hospital (69,6%) e le prestazioni di specialistica ambulatoriale (16,4%). Il 9,4% riguarda la somministrazione diretta di farmaci e il rimanente 4,6% ad altre prestazioni (medicina generale, farmaceutica, cure termali, trasporti con ambulanza ed elisoccorso). Oltre 1 euro su 2 speso per ricoveri e prestazioni specialistiche finisce nelle casse del privato: esattamente 1.727,5 milioni (54,6%), rispetto a 1.433,4 milioni (45,4%) delle strutture pubbliche. In particolare, per i ricoveri ordinari e in day hospital le strutture private hanno incassato 1.426,2 milioni, mentre quelle pubbliche 1.132,8 milioni. Tre Regioni con maggiore indice di fuga generano debiti per oltre 300 milioni ciascuna: in testa Lazio (12%), Lombardia (10,9%) e Campania (9,3%), che insieme compongono quasi un terzo della mobilità passiva. Il restante 67,9% della mobilità passiva si distribuisce nelle rimanenti 18 Regioni e Province autonome. Emilia-Romagna, Lombardia e Veneto - Regioni capofila dell’autonomia differenziata - raccolgono il 93,3% del saldo attivo, mentre il 76,9% del saldo passivo si concentra in Calabria, Campania, Sicilia, Lazio, Puglia e Abruzzo. Secondo Nino Cartabellotta, presidente della Fondazione Gimbe, il gap tra il Nord e il Sud è «diventato ormai una 'frattura strutturalè destinata ad essere aggravata dall’autonomia differenziata». Per questo, aggiunge Cartabellotta, «la Fondazione Gimbe ribadisce quanto già riferito nell’audizione in 1a Commissione Affari Costituzionali del Senato: la tutela della salute deve essere espunta dalle materie su cui le Regioni possono richiedere maggiori autonomie».