Una montagna da oltre 1.200 miliardi di tasse e multe non pagate. Stipate da anni, molte da decenni, nel magazzino della riscossione. Che accumula senza sosta somme ormai considerate vetuste e inesigibili. Ora il governo ha deciso di intervenire trovando un modo per snellirlo. Lo Stato però rischia di non vedersi mai restituire la maggior parte di quei soldi: oltre il 90% dell’ammontare infatti è praticamente irrecuperabile. Sono 1.206,6 miliardi le cartelle non riscosse presenti nel magazzino al 31 dicembre 2023. Si tratta di circa 269 milioni di singoli crediti, contenuti in circa 163 milioni di cartelle, avvisi di addebito e avvisi di accertamento esecutivo, accumulati dal 2000 ad oggi. I contribuenti con debiti residui da riscuotere sono circa 22,4 milioni, di cui 3,5 milioni sono società, fondazioni ed enti, mentre i restanti 18,9 milioni sono persone fisiche. Buona parte di questa mole di debiti fiscali, però, non è recuperabile, come ha spiegato il più occasioni il direttore dell’Agenzie delle Entrate Ernesto Maria Ruffini. Tolte le somme irrecuperabili perché intestate a persone decedute o ditte cessate (195 miliardi), nullatenenti (136,5 miliardi), imprese già cessate o interessate da procedure concorsuali chiuse (151,7 miliardi), quelle intestate a soggetti verso i quali l’agenzia ha già svolto attività di riscossione ma senza risultato (502 miliardi), quelle per le quali l’attività è stata sospesa da provvedimenti o altri interventi (100,4 miliardi) e quelle oggetti di pagamenti rateali (18,8 miliardi), rimangono poco più di 101 miliardi, ovvero poco più dell’8% dell’intero ammontare del magazzino. Ma realisticamente la cifra potrebbe ridursi ulteriormente, visto che più della metà di queste cartelle risale a più di 10 anni fa (il 28% è del 2000-2010, il 27% al 2011-15). Secondo la Corte dei Conti, ha ricordato in qualche occasione il viceministro all’Economia Maurizio Leo, soltanto il 6-7% può esser riscosso. Per ridurre il magazzino ora il governo ha deciso di mettere in campo una commissione ad hoc. Dovrà fare il punto della situazione e proporre le possibili soluzioni per conseguire «il discarico di tutto o parte» del magazzino: le prime proposte, sulle cartelle più vecchie, quelle dal 2000 al 2010, dovranno arrivare sul tavolo del Mef entro il 31 dicembre 2025; poi entro fine 2027 sono attese quelle sui carichi affidati dal 2011 al 2017; entro il 2031 quelle sui carichi più recenti (2018-24). "Dobbiamo fare un’operazione verità», spiega Leo, evidenziando che se ci sono cartelle che hanno anche 25 anni e non si riescono a riscuotere, «una decisione dovrà pur essere assunta». La commissione arriva insieme alle nuove norme per il riordino della riscossione, che costituiscono il decimo decreto attuativo della riforma fiscale approvata la scorsa estate. Il nuovo fisco, rivendica il governo, tende la mano al contribuente che vuole pagare ma non ce la fa. Ma l’allungamento delle rate per pagare i debiti fiscali ha anche un costo per le casse dello Stato: un minor gettito, si stima nella Relazione tecnica, di circa 2,5 miliardi in 12 anni (l'impatto si azzererà solo dal 2037). In questo quadro intanto il governo ribadisce l’obiettivo di ridurre la pressione fiscale: dopo le fasce medio-basse, ora si guarda al ceto medio. Risorse permettendo. Anche perché solo per riproporre anche nel 2025 taglio del cuneo e Irpef a tre aliquote servono già 15 miliardi. Intanto sono in consultazione da oggi i 9 testi unici sul sistema fiscale, che si punta ad approvare entro l’estate. Il prossimo step è già sul tavolo, il testo unico sulle dogane.