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Povertà, la Cgia: rischio maggiore tra lavoratori autonomi che tra dipendenti. I dati di Calabria e Sicilia

In calo le imprese femminili, nell'Isola -3,6% nel triennio

Tra tutti i nuclei che hanno come capofamiglia un lavoratore autonomo, il rischio povertà o esclusione sociale è al 22,7%, mentre la quota riferita a tutte le famiglie con alla guida un lavoratore dipendente è decisamente inferiore e pari al 14,8%. In altre parole, se negli ultimi decenni abbiamo assistito a una progressiva riduzione del potere d’acquisto dei salari che ha spinto verso l’area dell’indigenza molti operai/impiegati con bassi livelli di inquadramento contrattuale, ai lavoratori autonomi le cose sono andate molto peggio.

I fatturati hanno subito delle forti contrazioni e, conseguentemente, la qualità della vita delle partite Iva ha subito un deciso aggravamento. La denuncia è sollevata dall’Ufficio studi Cgia che ha elaborato i dati dell’Istat. Qualcuno potrebbe obbiettare che i dati riferiti alla povertà dei lavoratori autonomi sarebbero condizionati da importi reddituali dichiarati non corrispondenti al vero. In realtà, il rischio povertà o esclusione sociale è un indicatore molto complesso che è dato dalla somma delle persone che si trovano in almeno una delle seguenti condizioni: vivono in famiglie a rischio povertà; vivono in famiglie in condizioni di grave deprivazione materiale e sociale; vivono in famiglie a bassa intensità di lavoro. Ovviamente, tra le categorie monitorate dall’Istat la più disagiata economicamente e socialmente è quella dei pensionati, dove il rischio povertà delle famiglie è addirittura al 33,1%

OLTRE 5 MILIONI DI PARTITE IVA, META' SONO FORFETTARI
In Italia il numero dei lavoratori indipendenti è stimato in 5.170.000 unità. Di questi, poco meno della metà opera in regime dei minimi. Stiamo parlando di attività economiche senza dipendenti e senza alcuna organizzazione d’impresa con un fatturato annuo al di sotto degli 85 mila euro. Insomma, una pura e semplice partita Iva che fa dell’autoimprenditorialità la sua ragione lavorativa. E’ il caso di tanti giovani, di altrettante donne e di molte persone in età avanzata soprattutto del Mezzogiorno che sbarcano il lunario con piccoli lavori/consulenze senza disporre di alcun ammortizzatore sociale e/o sostegno pubblico. Soggetti che faticano a incassare le proprie spettanze e che, nella stragrande maggioranza dei casi, si trovano in condizioni economiche molto fragili e, quindi, a forte rischio di povertà o esclusione sociale.

RISPETTO AL 2003, REDDITO AUTONOMI - 30%
Negli ultimi 20 anni il reddito degli autonomi è sceso del 30%, mentre quello dei lavoratori dipendenti è diminuito di «solo» l’8%. Per i pensionati, invece, il dato è rimasto pressoché stabile. La debolezza economica di molte partite Iva, il crollo dei consumi interni - causato dalle crisi economiche che si sono succedute in questi due decenni - e alla concorrenza praticata dapprima dalla grande distribuzione e negli ultimi anni dal commercio elettronico, hanno fiaccato la tenuta reddituale di tantissime micro attività.

DAZI: DANNI ANCHE A MOLTI LAVORATORI AUTONOMI
Dal momento che non lavorano direttamente con i mercati stranieri e che sono pochissimi coloro che operano nelle filiere produttive coinvolte nelle esportazioni, i lavoratori autonomi non dovrebbero subire effetti negativi dall’introduzione dei dazi annunciati nei giorni scorsi dal Presidente Trump. Ma le cose potrebbero andare anche diversamente. Se le misure protezionistiche introdotte dall’Amministrazione statunitense dovessero provocare una flessione della crescita economica e un incremento dell’inflazione anche in Italia, gli autonomi più fragili potrebbero essere tra i lavoratori più danneggiati. Ecco perchè è necessario, dove possibile, diversificare i mercati di vendita all’estero dei nostri prodotti e rilanciare la domanda interna, attraverso la messa a terra del Pnrr e una ripresa dei consumi che potrebbe essere agevolata proseguendo nella riduzione delle imposte a famiglie e imprese.

IN ITALIA IN DIFFICOLTA' 13,5 MILIONI DI PERSONE
In termini assoluti tutta la popolazione a rischio povertà o esclusione sociale presente in Italia è a pari a 13,5 milioni di persone (23,1% del totale abitanti). Di questi, 7,7 milioni (pari al 57% del totale) sono residenti nel Mezzogiorno. La regione che ne conta di più è la Campania con 2,4 milioni. Seguono la Sicilia con 1,9, il Lazio con quasi 1,5 e la Puglia con 1,46. Se, invece, prendiamo come riferimento la percentuale a rischio povertà sul totale abitanti, la regione con la quota più elevata è la Calabria (48,8 per cento). Seguono la Campania (43,5), la Sicilia (40,9) e la Puglia (37,7).

In calo le imprese femminili in Sicilia, -3,6% nel triennio

Battuta d’arresto per l'imprenditoria femminile in Sicilia e nelle sue province negli ultimi tre anni (2022-2024), con un calo del 3,6%. I dati di Infocamere, analizzati dal centro studi di Assoesercenti, dipingono un quadro preoccupante, con una riduzione del numero di imprese guidate da donne e segnali negativi in settori cruciali per l’economia regionale come il commercio, l'agricoltura e il turismo. Province che in passato avevano mostrato una certa dinamicità nell’imprenditoria femminile sembrano aver subito una significativa frenata, con un calo dal 2022 che va oltre l’8,3% a Catania e arriva a quasi il 9,9% a Siracusa. L’unica in controtendenza è Palermo, dove il numero delle imprese condotte da donne è aumentato del 1,38%, con +336 imprese registrate. I settori maggiormente colpiti dal calo sono soprattutto quello del commercio e dell’agricoltura. Guardando in dettaglio alle province, in termini percentuali, la riduzione maggiore nel commercio nell’ultimo triennio la si nota a Ragusa con un -14,27%, a seguire Siracusa (-13,15%) e Catania (-11,34%). Fanalino di coda la provincia palermitana che tiene botta con -0,81%. Anche il comparto agricolo ha assistito nel triennio 2022-2024 ad un calo drastico di donne imprenditrici con tutte le province siciliane che chiudono in negativo: le più colpite sicuramente Siracusa (-10.58%) e Catania (-10,52%). «Le ragioni di questa tendenza generale negativa - afferma il presidente di Assoesercenti Salvo Politino - possono essere molteplici e strettamente collegate. Un contesto economico sfavorevole a livello nazionale e regionale ha reso più arduo l'inizio e la gestione di nuove attività, colpendo in modo particolare le imprese femminili, spesso più fragili. A ciò si aggiungono le persistenti difficoltà nell’accedere a finanziamenti e garanzie bancarie, che rappresentano un freno considerevole per le donne che desiderano avviare un’impresa o far crescere quelle esistenti».

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