
Mercati col fiato sospeso, nel timore che la guerra dei dazi scatenata da Donald Trump possa travolgere l’economia globale e farla precipitare in una recessione che riporterebbe l’orologio indietro di anni. Quelli bui della crisi del 2008 e del tracollo di Lehman Brothers o del terremoto provocato dalla dalla pandemia. Il timore immediato è quello di un’altra settimana di passione per le Borse mondiali, dopo che tra giovedì e venerdì dall’Asia all’Europa e agli Stati Uniti sono stati bruciati miliardi e miliardi di dollari: quasi 2.000 miliardi sono andati in fumo nel Vecchio Continente, circa 5.000 miliardi a Wall Street. Tra le peggiori performance quella della Borsa di Milano, con l’indice Ftse Mib che ha lasciato sul terreno il 3,6% giovedì e il 6,5% venerdì, arrivando a cedere nell’ultima giornata di contrattazioni della settimana oltre il 7% come accadde in uno dei maggiori crolli mai registrati a piazza Affari, l’11 settembre del 2001, il giorno dell’attentato alle Torri Gemelle. Anche se diversi analisti si attendono un rimbalzo, a regnare è lo scetticismo.
La Borsa saudita, aperta anche di domenica, ha terminato la giornata di contrattazioni con un tonfo del 6,8%, facendo registrare il peggior calo dai tempi del Covid: il timore è che sia un segno premonitore di quel che accadrà nei prossimi giorni. La speranza degli investitori è che si aprano dei negoziati tra l’amministrazione Trump e il resto del mondo per provare a inserire la retromarcia. Ma la strada del dialogo per una de-escalation - a partire da quella tra Stati Uniti e Unione europea - appare lunga e tortuosa, con le aspettative che sono per un periodo caratterizzato piuttosto da grande incertezza e altissima volatilità sui mercati. Un quadro che non può che nuocere all’economia e alla crescita mondiale, con le probabilità di stagnazione, se non di vera e propria recessione globale, sempre più elevate. A farne le spese imprese e posti di lavoro. E da un sondaggio Swg pubblicato sul Sole 24 Ore emerge come quattro italiani su dieci temono per le proprie tasche, convinti che la guerra commerciale in corso avrà ripercussioni sulla propria condizione economica. Una percentuale che nel Mezzogiorno sale al 61%.
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