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Ok dalla Camera al Documento di finanza pubblica: pesano i dazi, tagliate le stime sul Pil: +0,6% nel 2025

L’Aula della Camera, dopo il voto di stamattina in Senato, ha approvato la risoluzione di maggioranza sul Dfp. Nel Documento di Finanza Pubblica (ex Def) il governo ha dimezzato le stime sulla crescita del Pil dell’Italia per il 2025, portandole a +0,6% rispetto all’1,2% indicato in autunno nel Piano strutturale di bilancio, e ridotto la previsione per il 2026 a +0,8%. E’ stata mantenuta invece la traiettoria del rapporto deficit/Pil, che scenderà sotto al 3% già dal 2026 come da impegni presi con Bruxelles, con il debito in frenata dall’anno successivo anche per l’attenuarsi del peso del Superbonus sui conti pubblici.

Previsioni condizionate dalla guerra commerciale sui dazi

Le previsioni del Dfp sono state condizionate da alcune variabili, dalla guerra commerciale avviata dai dazi imposti dagli Usa ai conflitti sul campo in Ucraina e Medio Oriente, che secondo il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti rendono «particolarmente complesso elaborare stime» sia nel medio sia nel breve termine. Il titolare del Mef rivendica che la gestione prudente della finanza pubblica ha permesso «di confermare gli obiettivi di spesa netta e di riduzione del deficit e del debito» fissati in autunno nel Psb. La scorsa settimana, in audizione in Senato, Giorgetti ha ricordato l’impegno per la tenuta dei conti pubblici e ribadito che la priorità è gestire il debito che «divora ogni spesa, anche la più nobile».
Per il titolare del Mef il quadro generale dei conti pubblici delineato nel Dfp «rappresenta una base solida per affrontare le nuove esigenze, legate alla sicurezza e alla difesa nonchè al mutamento all’assetto commerciale e geopolitico». Sfide, chiosa, «assai complesse, che il Governo intende affrontare salvaguardando la sostenibilità della finanza pubblica, il potere di acquisto delle famiglie e la competitività delle imprese».
Attenzione particolare il governo intende rivolgerla, inoltre, «ai costi sanitari per la prevenzione per migliorare lo stato di salute della popolazione». Con questo obiettivo, il Dfp impegna il governo a «a valutare di adottare misure di sostegno per la prevenzione sanitaria per migliorare lo stato di salute della popolazione e in particolare l’immunizzazione e lo screening», che sono da considerarsi «prioritari per la resilienza sociale ed economica».

Nell’Unione europea e in Italia, annota il Dfp, «la riduzione del Pil risulterebbe graduale ma maggiormente persistente; dopo l’effetto prezzo, che agisce immediatamente, subentra l’impatto della minore domanda globale a cui l’Europa è più esposta, data la maggiore apertura al commercio estero». Anche gli altri enti previsori confermano le stime al ribasso del governo e l’impatto delle tariffe Usa. Per Bankitalia in prospettiva «sull'economia europea e italiana peseranno gli effetti dell’aumento dei dazi statunitensi». La qualità elevata dei beni che vendiamo negli Stati Uniti e gli ampi margini di profitto di alcune imprese potranno «attenuarne temporaneamente l’impatto», ma «un contraccolpo sarà inevitabile» nel caso di «un forte rallentamento del commercio mondiale». Potrebbe costare lo 0,2-0,3% del Pil.
Per il Centro studi di Confindustria invece la delocalizzazione delle imprese italiane negli Usa «è un rischio concreto». L’Upb a riguardo delle spese per la difesa annota: «Le simulazioni stimano un aumento del debito di 0,7 punti percentuali fino al 137,3 del Pil nel 2028 con un utilizzo parziale della flessibilità; con un aumento graduale della spesa fino» al massimo consentito pari a 1,5 per cento nel 2028, «il debito salirebbe a 137,7 per cento».

Critici i sindacati sul testo. Per la Cgil il Dfp «certifica - di fatto - il fallimento delle politiche economiche del governo». Secondo la Cisl «le previsioni non sono rassicuranti, il Pil aumenterà di appena lo 0,8% nel 2026 e nel 2027. Tale andamento viene confermato, in base ai dati attualmente disponibili, anche nel 2028». Mentre per la Uil «non ci sono nuove politiche economiche, non si intravedono investimenti strutturali nè una strategia concreta per affrontare le grandi transizioni sociali».

I continui mutamenti di scenario sui dazi, ora sospesi per 90 giorni - fino al 9 luglio - hanno condizionato le proiezioni macroeconomiche e il dibattito sul testo tra maggioranza e opposizioni. Anche perchè a tenere banco nelle ultime settimane è stato soprattutto il tema del possibile incremento delle spese per la difesa in Europa, visti i segnali lanciati dagli Usa su un possibile ridimensionamento dell’ombrello militare in favore dell’Europa.
Il governo ha confermato che intende raggiungere il target Nato del 2% del Pil in spesa militare entro l’anno ma ha anche allontanato l’ipotesi di uno scostamento di bilancio - che andrebbe votato entro il 30 aprile - o di una richiesta di una deroga al Patto si Stabilità per le spese militari. Si attenderanno le decisioni del prossimo vertice Nato in programma a giugno.
«Lo scostamento non deve essere la soluzione facile - ha sottolineato Giorgetti - prima di prevedere spese supplementari, anche per difesa o dazi, voglio sapere dove vanno a finire». Parole che sembrano fugare anche le speculazioni su una eventuale manovra correttiva.
La simulazione del Tesoro contenuta nel Dfp sul peso delle politiche tariffarie Usa sull'economia «evidenzia un impatto negativo dei dazi sulla crescita economica globale», con «effetti più severi nel 2026 per gli Stati Uniti». Per il documento «le ritorsioni commerciali congiunte dei partner internazionali, che riducono l’export, vanno a sommarsi agli effetti determinati dai dazi imposti che, aumentando i prezzi e il livello di incertezza, concorrono alla riduzione della crescita della domanda interna».
Gli effetti sulla domanda interna, si legge ancora nel testo, «tendono ad attenuarsi, anche per via della risposta della politica monetaria accomodante, sicchè negli anni successivi si avrebbe un recupero parziale della attività economica».

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