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Dazi, Draghi e Mattarella a Coimbra: "Nessun dorma in Europa, urgente una difesa comune"

"Europa non dormire, il tuo destino è chiuso in te". Sergio Mattarella cita Puccini, quello della Turandot e delle sfide cui non ci si può sottrarre, in cui si rischia l’osso del collo ma la sconfitta non può essere messa in bilancio preventivo. Simposio Cotec, Coimbra, al suo fianco il Re di Spagna Felipe e il Presidente portoghese Rebelo de Sousa. Soprattutto, però, c'è Mario Draghi, che è arrivato insieme a lui ieri e ha assistito alla lunga cerimonia in cui il Capo dello Stato ha ricevuto un dottorato dall’Università, una delle più antiche del Continente.

E’ Draghi, oggi, a introdurre i lavori di un simposio denominato, significativamente, «Una chiamata all’azione». Lo fa, l’ex Presidente del Consiglio, con tagliente chiarezza. Ne emerge alla fine una forte ed esplicita comunanza di vedute con il Capo dello Stato. La crisi dei dazi, spiega Draghi, è letteralmente un punto di non ritorno. E se nel breve periodo non si può prescindere dai legami commerciali da Washington, nel lungo è impossibile immaginare che le cose tornino com'erano prima del gennaio 2025. Qualcuno si crede libero e lontano, oltreoceano. Ma c'è dell’altro: «le frammentazioni politiche interne e la crescita debole ha reso più difficile una effettiva risposta europea. Gli eventi più recenti rappresentano un punto di rottura. L’uso massiccio di azioni unilaterali per risolvere le controversie commerciali e il definitivo esautoramento del Wto hanno minato l’ordine multilaterale in modo difficilmente reversibile». Insomma bisogna ripensare un nuovo ordine, in cui Bruxelles sia pronta e presente. E sia chiaro: «se l’Europa vuole davvero dipendere meno dalla crescita statunitense, dovrà crearne da sola». Creare ricchezza e crescita, produrre autonomia, ottenere più sicurezza e indipendenza.

Nelle parole di Draghi c'è quasi un programma, che spazia dall’intelligenza artificiale ad una riflessione sui salari (che sono da sostenere, perchè da troppi anni sono rimasti al palo e la domanda intera ne risente e quindi la stessa crescita). Una riflessione particolare però è dedicata alle conseguenze politiche della guerra in Ucraina.

«Consideriamo la difesa», chiede Draghi ai suoi interlocutori, «Da almeno un decennio sono evidenti le crescenti minacce ai nostri confini orientali. La Russia non nasconde di considerarci un nemico da indebolire attraverso una guerra ibrida».

In piedi sul palco, un tenore ha appena intonato l’aria più famosa della Turandot di Puccini, quella in cui Calaf sfida Turandot mettendo in palio la sua stessa testa. Ardimento contro dispotico capriccio orientaleggiante: nei momenti in cui la testa è in gioco è impossibile tirarsi indietro. Quindi, nessun dorma. Vale anche per questi mesi di confronti e scontri, sfide e incertezze. «Poc'anzi la romanza che abbiamo ascoltato potrebbe applicarsi alla nostra Unione», rileva il Capo dello Stato. «Occorre mettere in campo misure efficaci e allo stesso tempo ambiziose», avverte, citandone «una, che nella sua attualità ed urgenza ben esemplifica le conseguenze dell’inazione e delle ingiustificate ritrosie a procedere lungo il cammino dell’integrazione. La Difesa comune europea».

«Non è difficile immaginare quale sarebbe oggi la condizione dell’Unione, di fronte al mutato contesto geopolitico, se avessimo scelto a suo tempo di compiere quel salto di qualità politico nel processo di integrazione», quasi rimprovera, «oggi siamo in ritardo, in rincorsa rispetto agli eventi e dobbiamo, di conseguenza, avvertirne l’urgenza». Non si guardi al passato, si agisca sul futuro: si tratta di portare a realizzazione un progetto globale, in cui competitività, crescita, sviluppo e sicurezza sono tante facce dello stesso diamante, ora che quelle che una volta erano le superpotenze hanno abbandonato, per non dire aggredito, il Vecchio Continente.

Intanto che fa, il Vecchio Continente? Noi, è la risposta, «mentre questa minaccia cresceva, abbiamo fatto poco per rafforzare la nostra difesa comune» ed ora «con il ritiro dell’ombrello di sicurezza statunitense, ci stiamo rendendo conto della nostra debolezza». Insomma, ha dormito. Di conseguenza anche qui, nell’immediato non si può prescindere da questa scomoda eredità: «potrebbe essere troppo tardi per influenzare gli eventi a breve termine». Resteremo muti spettatori, nonostante l’innegabile sforzo bellico a favore di Kiev. In compenso «non è troppo tardi per cambiare le prospettive per i prossimi 5-10 anni, se oggi adottiamo le misure giuste per sviluppare la nostra capacità industriale nel settore della difesa e le nostre capacità strategiche». Più tecnologie, più investimenti, più progetti e soprattutto più coordinamento tra 27 teste militari chiamate ormai a ragionare come se fossero una. Europa, ecco la strada. Sono «spunti di grande rilevanza e interesse», commenta Mattarella appena prende la parola, «è urgente, direi prioritario, che l’Europa agisca, perchè stare fermi non è più un’opzione».

«Prendiamo in considerazione le principali tecnologie emergenti, architravi della nuova rivoluzione industriale: dalla robotica avanzata, all’intelligenza artificiale generativa, dai computer quantistici, alle sperimentazioni per la produzione di energia pulita, dalle biotecnologie all’aerospazio. Ebbene, per ciascuna di esse, la mole degli investimenti e la robustezza dei meccanismi necessari a impiantare e tutelare, anche in Europa, solide industrie nascenti sono tali da esigere cooperazioni su scala continentale» chiede Mattarella. E se tanto della crisi ucraina è finito direttamente nelle bollette delle imprese e delle famiglie italiane, «diviene più che mai necessaria una strategia che ponga al centro la sicurezza degli approvvigionamenti». Questo significa «stringere accordi con partner affidabili per assicurare forniture stabili, rimanendo aperti alla cooperazione internazionale, purchè sorretta da sufficienti garanzie di fiducia reciproca». E’ questa la premessa irrinunciabile per «un’Europa più competitiva, tecnologicamente avanzata e quindi più sicura, capace di ridurre le sue dipendenze strategiche ma senza pregiudicare la tela di fondo di un ordine internazionale fondato sul libero commercio». E’ una sfida impegnativa, eppure, senza sottovalutare la gravità della situazione, abbiamo il dovere - oltre che molte buone ragioni - di restare ottimisti», conclude il Presidente, «L'Unione si erge su solide fondamenta: un’economia di mercato aperta alla concorrenza e agli scambi internazionali; un sistema di banche centrali indipendente; un quadro giuridico stabile e affidabile; una concezione di Stato di diritto saldamente ancorata a una convinta tradizione democratica; politiche di redistribuzione attive ispirate al principio di solidarietà». Ce n'è abbastanza perchè il tenore intoni, tra gli applausi del pubblico più esigente, un magnifico Si acuto.

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