Che un ragazzo italiano vinca il Festival della canzone italiana non dovrebbe destare meraviglia. Ma, nell’Italia dei muri (vi ricordate quello che, sotto Roma, doveva tagliare fuori noi terroni, nella fantasia malata dei leghisti? Sì, quelli che ora fingono che sia tutto dimenticato, salvo rispondere, sulla scuola e le sue carenze, che «i professori meridionali si devono impegnare di più»...), nell’Italia del sovranismo nutrito d’ignoranza, nell’Italia dell’odio coltivato ad arte dove qualunque cosa – anche una gara di canzoni – diventa uno scontro all’arma bianca tra fazioni inferocite, ci tocca precisare pure quest’ovvietà. Dunque, il vincitore di Sanremo Mahmood è stato costretto a dire persino questo, ai giornalisti: «Io sono un ragazzo italiano, al 100 per cento, di madre sarda e padre egiziano». Alessandro Mahmoud, 26 anni, milanese. Uno che da anni fa gavetta nel mondo della canzone, che ha partecipato a talent (X Factor nel 2012), ha collaborato con grandi artisti, ha già vinto il suo Sanremo Giovani, l'edizione “scorporata” del dicembre scorso. Uno come migliaia di altri, ragazzi del nostro mondo allargato dove la musica viaggia senza confini, e si scambia e si contamina più di qualsiasi altra arte, come dalla notte dei tempi. Ma uno come migliaia di altri, ragazzi del nostro mondo rimpicciolito, dove l’appartenenza è vissuta come un’etichetta – una medaglia oppure una colpa, a seconda – e purtroppo sull’etichetta «italiano al 100 per 100» (chi sarà mai, poi, un italiano «di razza pura», ci chiediamo qui al Sud, dove siamo figli di mescolanze millenarie...) si fonda la propaganda di diverse forze politiche. Così, la battaglia dei social si è scatenata appena dopo l'annuncio della vittoria, a sorpresa, di Mahmood. Col vicepremier Salvini che commenta «Mahmood mah... La canzone italiana più bella?!?». E la giornalista Maria Giovanna Maglie, che si dice condurrà un programma su Rai1, ci va giù pesante: «Un vincitore molto annunciato». Ma forse era lei poco informata: da giorni si annunciava la vittoria di Ultimo, arrivato secondo, che anzi ieri proprio per questo se l'è presa coi giornalisti (uno sport molto praticato, di recente: quando i fatti non ti piacciono, prenditela con chi li racconta). E continua, la Maglie: «Si chiama Maometto, la frasetta in arabo c'è, c'è anche il ramadan e il narghilè, e il meticciato è assicurato. La canzone importa poco. Avete guardato le facce della giuria d'onore?», seguita da svariate migliaia di utenti indignati, soprattutto per un presunto “sovvertimento” del risultato del televoto da parte delle altre due giurie (i “tecnici” della sala stampa e la “giuria d'onore”): ma questo è il sistema di voto, fondato sul bilanciamento e scelto proprio per evitare che un televoto “gonfiato” (sarebbe facilissimo) possa alterare i risultati, e per dare voce a giurie “qualificate”. Ahinoi, anche questo è un problema di oggi: chi ha le competenze viene guardato con crescente sospetto, mentre l'ignoranza è celebrata come garanzia di onestà... E infatti, su questo non ha fatto mancare il suo commento l’altro vicepremier, Di Maio, che ha parlato di voto delle élite, «giornalisti e radicalchic», che sovverte il voto popolare. Strano che non abbia offerto, per il prossimo anno, l’uso della piattaforma Rousseau... Per fortuna sono intervenuti altri personaggi molto amati dal pubblico, a restituire la cosa a termini più reali: Fiorello ha twittato «Chi vince ha vinto! Non dovrebbe interessare da dove viene, chi è il padre, la madre, il paese d’origine, l’orientamento sessuale, il taglio di capelli, il 44%, il 14%, il 200%, il gruppo sanguigno». E persino Elisa Isoardi, l'ex di Salvini, ha postato su Instagram: «Mahmood ha appena vinto Sanremo. La dimostrazione che l'incontro di culture differenti genera bellezza». Sì, qui in Italia, e specie al Sud, lo sappiamo da qualche migliaio d’anni.