Gli inglesi hanno un'espressione che non ammette repliche quando una crisi diventa catastrofe: “bloodbath”, bagno di sangue. È quello che aspetta l'Italia, economicamente e finanziariamente parlando, il prossimo autunno. Scrivere “l'avevamo detto” rappresenta solo una medaglia di cartone da appuntarci sul petto. Non serve a niente. La congiunzione astrale e politica che ha colpito il nostro Paese, nell'ultimo anno, equivale a quella dell'asteroide che sterminò i dinosauri. Solo che qui i dinosauri sono sopravvissuti e le persone perbene, invece, vanno crepando. Il governo che si è squagliato era composto per metà da incapaci e, per l'altra metà, da gente capace di tutto. Chiunque arrivi dopo, insomma, anche una filiale dell'Esercito della salvezza o una congrega di Avventisti del settimo giorno, non potrà che fare meglio di codesti “zeri tagliati”. Il vero problema è che lo scasso compiuto, a nostro giudizio, è pressoché irreversibilie. Il Pil è fermo, ingessato, paralizzato. Fate voi. Le “riforme” azzardate in ossequio a una campagna elettorale occulta, durata 14 mesi (da “quota cento” al “reddito di cittadinanza”), semplicemente non si potevano fare. Cioè, non ce le potevamo permettere. E, infatti, il Paese è praticamente nella fossa. Hanno giocato a poker sulla pelle degli italiani e in mano avevano quattro scartine. Le società di rating, quelle che giudicano se saremo in grado di restituire i prestiti che il nostro Stato fa per tirare avanti (o, meglio, per arrancare) sono sul piede di guerra. Gli “outlook” (le previsioni), sono tutti negativi. Anzi, funesti. Fitch, Standard and Poor's, Moody's e la stessa fin troppo benevola Dbrs, non hanno più voglia di scherzare. La ghigliottina è pronta. E, per la proprietà transitiva, i nostri “bond” potrebbero diventare spazzatura da un giorno all'altro. Insomma, il “crash and panicking” è dietro l'angolo: crisi di liquidità e terrorismo finanziario che dilaga a macchia d'olio. I numeri. Il problema è quelli di “leggerli” staccati dal contesto. In questo momento, Pil a parte, sarebbero accettabili se messi in relazione a quelli di altri grandi Paesi. Ma l'economia, lo insegnano in tutte le università, è fatta essenzialmente di aspettative. E qui casca l'asino. Pardon, tutti gli asini che ragliano e pontificano, senza saper distinguere una cambiale da una carta da mille lire. Sorry per il paragone con altre ere geologiche della politica. Ma col debito pubblico che ci ritroviamo, non possiamo permetterci manco un caffè al bar. Altro che “deficit spending” e altre barzellette del genere, promosse da politicanti dai quali non ci faremmo comprare nemmeno le sigarette. Perché sbaglierebbero tabacchino. Allora, se le cose non cambiano subito (e come?) non ci salverà manco il comunismo di guerra di Trotzky. E a chi ci dice che forse siamo pessimisti, rispondiamo che solo un medico disonesto può dire a un paziente che ha il raffreddore, quando invece è pieno di metastasi. Vogliamo proprio vedere chi avrà la faccia di sedersi a Palazzo Chigi. Una poltrona che friggerà peggio della sedia elettrica.