Delle due l’una. O, con questo maledetto Covid-19, si è esagerato prima o lo stiamo facendo adesso. Agli italiani, scioccati dai resoconti arrivati da Wuhan, tre mesi fa – con toni da apocalisse – è stato presentato l’eccellentissimo virus: pronto a insinuarsi ovunque per tendere agguati, appiccicato a ogni carrello di market o acquattato in attesa sull’inutile guanto di lattice. Eccolo mentre ti crocifigge perché hai respirato aria crudele in un ufficio postale, eccolo che trapassa una mascherina chirurgica, troppo permeabile per costituire unveroostacolo. Siamo stati fermati, interrogati, inquisiti sulle intenzioni, sulle tappe – troppo eccentriche – delle nostre pur stucchevoli vite, invitati con garbo mutevole a confessare esigenze e vizi. Comunque colpevoli di “volere” qualcosa oltre le mura domestiche. Abbiamo dovuto autocertificare, riflettere sulla differenza tra un «affetto stabile» e un o venuto all’alba l’altro ieri, sollecitati a distinguere, tra lessico e cuore, i familiari dai congiunti. Soprattutto, siamo stati reclusi in casa tra igienizzanti spesso improbabili, “obbligati” a goffe sanificazioni – parola orrenda –. Abbiamo ingollato tutto, privati anche della nostra pur sconcia, talvolta, «democrazia parlamentare», imparato a vivere aspettando i dispacci della Protezione civile – alcuni di noi si sono annichiliti nella conta giornaliera dei nuovi casi, dei morti, dei guariti –. Abbiamo imparato parole nuove, nozioni nuove, speranze nuove. Abbiamo dimenticato noi stessi, e ci siamo nutriti – è così in ogni deserto – di miraggi. Qualcuno ha cantato o suonato o fatto sventolare il Tricolore dal balcone di casa, qualcuno ha disegnato arcobaleni e scritto «Andrà tutto bene» – ditelo ai trentamila e più morti. «Andrà tutto bene»: non è frase scorretta, in fondo. Ci era stato fatto capire che la posta in gioco fosse più alta, purtroppo, di questa e quella singola vita; ciò che importa è la sopravvivenza della specie. Questo, con enfasi tutta occidentale, ci era stato chiesto di capire: dobbiamo proteggere insieme qualcosa che ha più peso di ciascuno di noi. Tutto ciò mentre ci vergognavamo nel sentirci “rassicurati” dall’età, avanzata, della gran parte delle vittime, persone rese più vulnerabili dal più implacabile dei virus: la vecchiaia. A peggiorare le cose s’è intromessa – puntuale come la notte dopo il giorno – la pandemia economica. E dal Covid-19 si è passati alla Cigd, la cassa integrazione in deroga, dalle cure col tocilizumab alle cure per le imprese, ai mostri annidati nel Mes, agli eurobond, eccetera eccetera eccetera, tra Bruxelles e Francoforte, sognando stanziamenti a fondo perduto e prestiti poi sostenibili. Siamo diventati tutti virologi ed economisti: rivelandosi, qualcuno, più razionale, altri cadendo in becere illazioni (che sia tutto pianificato dalla Cina?). Pressato dalle Regioni e dal default collettivo, ora il governo, messo nell’angolo dalla catastrofe del Pil in caduta libera, ci affranca da vincoli e laccioli con sorprendente disinvoltura. Da domani riaprirà, di fatto, l’universo Italia, e sembra che un metro di distanza, improvvisamente, basti e avanzi a garantire – quasi ovunque – sicurezza. E dal 3 giugno frontiere aperte ai cittadini Ue che provengano da similari situazioni di contagio. Mascherine, catartico gel, e avanti tutta. Sia chiaro: possibile che sia giusto così, ma la narrazione non torna. Come in ogni romanzo, soprattutto in quelli... storici, i tempi sono importanti. Mai ci saremmo sognati d’essere spaventati dalla libertà, che non è mai troppa a meno che non venga dopo una troppo protratta detenzione. In questo caso il ritorno alla normalità va gestito. Con una gradualità che dovrebbe rimanere credibile. E così è stato fino alla penultima curva... dei contagi. La sensazione è che in questa faccenda del coronavirus il realitysmo (parola che qualche anno fa abbiamo imparato dal filosofo Maurizio Ferraris), più del realismo, abbia avuto un ruolo centrale, forse fin dall’inizio. Senza nulla togliere alla natura spietata del Covid-19, c’è stata troppa o troppo poca drammatizzazione (elemento chiave del realitysmo) e c’è stata onirizzazione (altro elemento chiave): ma davvero sta succedendo a me d’incrociare una pandemia? È un brutto sogno o è tutto vero? Ecco spiegata la “volubilità” di chi governa: difficile fare i conti con la platea occidentale, abituata a vivere il reale come favola. Tanto da oscillare, in questi mesi, tra ipocondria e titanismo. Il risultato è il più corto fra i metri di distanza mai visti in natura.