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Referendum sul taglio dei parlamentari, un colpo di cesoia senza sistemare "il resto"

No, così no. Sarebbe un colpo di cesoia senza curarsi del resto, e non va bene quando “il resto” è il piatto forte del “tutto”: si sta parlando – infatti – di Costituzione, di “forma” dello Stato, di rappresentanza politica, inevitabilmente di legge elettorale, di equilibrio tra poteri. E le riforme che sarebbero prossime a venire, necessario “qualificante” complemento alla sforbiciata nuda e cruda, restano – a tutt’oggi – chimere.

No, così no. Fra una settimana gli italiani sono chiamati a esprimersi – in coincidenza, a seconda dei territori, col voto regionale e amministrativo – sul taglio del numero dei parlamentari (da 630 a 400 alla Camera, da 315 a 200 al Senato): il referendum confermativo non richiede quorum, sicché non ci sarà spazio per il solito astensionismo “furbo” di chi, nelle consultazioni abrogative, prevede la sconfitta e allora prova a neutralizzare l’esito del voto disertando le urne. Ebbene, votare si deve ma accantonando anzitutto lo spirito da crociata che sembra pervadere alcuni tra i sostenitori del «sì». Il taglio dei parlamentari non è il male. Anzi.

Ma, da solo, non potrebbe mai essere il vaccino (che da anni aspettiamo) contro i gravi acciacchi che affliggono la nostra arrugginita democrazia. Servirebbe una riforma in grado di rendere il Parlamento sì meno costoso ma pure e soprattutto più efficiente. Nel maggior rispetto possibile delle minoranze, precisazione quest’ultima più che necessaria specie in un Paese poco maggioritario per Dna.

Il primo problema – finita... l’illustrazione passiamo ai nodi – è: il nostro Parlamento funziona come dovrebbe? Ha quella centralità che la Carta gli ha scolpito addosso su misura? Proposizioni interrogative più che retoriche: è ovvio che no; è sotto gli occhi di tutti – semmai – la “centralità” degli ultimi governi rispetto a una Camera e a un Senato spesso bypassati, costretti ad andare al traino, di fatto umiliati. Per essere ancora più chiari: strumenti eccezionali in mano al potere esecutivo finiscono per essere utilizzati ordinariamente per “legiferare” in barba ai “rappresentanti del popolo”, trasformati in comparse.

Parliamo delle «necessarie modifiche» da apportare ai regolamenti parlamentari? Parliamo delle leggi elettorali che si susseguono – non scolpite, sicuramente, ma ritagliate alla bell’e... peggio da maggioranze parlamentari che rischiano d’essere asfaltate alla successiva elezione e allora congiurano per ridurre i danni –? Parliamo delle liste bloccate, il maggior vulnus al volere del popolo, e che i parlamentari siano mille o la metà non cambierebbe certo le cose in assenza d’una “calibrata” legge elettorale? Parliamo del numero dei delegati regionali che partecipano all’elezione del Capo dello Stato – sono 60, e se i parlamentari diventassero 600 acquisirebbero un peso ben più decisivo –?

Il Parlamento è il cuore della nostra democrazia. Tutto si può fare, anche rimetter mano alla Costituzione e plasmarla su questi nostri nuovi difficili tempi ma senza creare distorsioni che potrebbero nuocere allo Stato democratico. Un taglio dei parlamentari non inscritto in una riforma costituzionale che tuteli anzitutto il sacrosanto principio di rappresentanza non ci convince. E ci spiace constatare che una forza come il Pd, quantomeno per certe sue origini e che nulla c’entra con le forze populiste entusiaste del “taglio”, abbia scelto – per restare in pace con i Cinquestelle e non mettere in pericolo il governo – di dichiarare il proprio «sì». Salvo poi giurare che la «riforma complessiva» è vicina al traguardo.

È sempre una faccenda di responsabilità. Quale assumersi? Si può andare con tanta disinvoltura contro la propria identità?

Forse l’attuale governo uscirà rafforzato da questa tornata alle urne, forse no. Peseranno le Regionali, peserà – appunto – il referendum. Ma non è in questa prospettiva che, sul taglio dei parlamentari, va fatta la scelta tra «sì» e «no». Questo voto merita di più.

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