«Quando capì di me, mia madre disse ho paura per te... a tutti voi auguro di potere guardare negli occhi i vostri cari anche quelli che un domani saranno diversi dai vostri desideri e potergli dire: io vi ho protetti dalla paura». Così la senatrice di Forza Italia Barbara Masini , dopo il recente coming out, ha invitato i colleghi di palazzo Madama a fare un “passo avanti di civiltà” votando l’approvazione del ddl Zan nel nuovo (forse ultimo) passaggio parlamentare. Su diversi punti del disegno di legge, legittimamente, da destra e sinistra sono stati elencati e sviscerati difetti evidenti e problematici del testo. È vero, ad esempio, che il ddl Zan analizzato con freddo tecnicismo, sul piano giuridico possa apparire come una ridondante aggiunta alla legge che già norma e condanna le discriminazioni, ovvero la legge Mancino. Altre “barricate”, però, appaiono ingiustificate. Le critiche sollevate su un punto in particolare, tradiscono quanto siano insuperabili i “dogmi” che danno linfa al sentimento irrazionale dell’intolleranza, prodotta da secolari e radicati artifici morali sulla sessualità. Si pensi, ad esempio, all’appello retorico “lasciamo stare i bambini” (a cui fa eco Renzi con il suo “via ogni riferimento alla scuola”), con il quale Salvini chiede che venga cancellato dal ddl Zan il coinvolgimento dei ragazzi durante la Giornata nazionale contro l’omofobia che si vorrebbe istituire il 17 maggio di ogni anno. Richieste che svelano l’imbarazzo di chi non vuole tener conto del progetto educativo e preventivo al quale il legislatore deve mirare. È evidente come, specie per i reati contro la persona, non sia più possibile affidarsi alle fallimentari strategie punitive e castiganti, per poi sperare nella funzione rieducativa del condannato quando ormai la frittata è fatta. Soprattutto se un comportamento, come quelli legati all’omofobia, è basato su convincimenti e luoghi comuni rinsaldati da un “passaparola” che si tramanda da una generazione all’altra. Una ferita aperta anche nel tessuto sociale del nostro Paese. Per questo, è necessaria una rivoluzione culturale che parta dalle aule scolastiche e da articolate campagne di sensibilizzazione come la “Giornata nazionale contro l’omofobia, la lesbofobia, la bifobia e la transfobia”, che sarebbe soltanto un appuntamento simbolico per tirare annualmente le somme. In quell’occasione si potrà verificare anche statisticamente (saranno in campo l’Istat e l’Oscad) in che modo si sarà riusciti a limitare gli atti di violenza e il dilagare dell’hate speech, il linguaggio di odio che prende di mira soprattutto nei social le minoranze e la diversità. E questa battaglia va condotta “casa per casa” dalle organizzazioni della società civile (e dai centri contro le discriminazioni, come previsto dal ddl), abbassando i toni della disputa politica tra chi, come dimostra lo scontro “militarizzato” di questi giorni, guarda al futuro prossimo degli umori e dei sondaggi più che a una civiltà di domani finalmente affrancata dalla barbarie dell’intolleranza.