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Il Cavaliere e la voglia di forzare. Ma ora certezze meno granitiche

Silvio Berlusconi

Non sono tanto le 93 “anime in pena” a preoccupare Berlusconi: nella caccia avviata da settimane, una cinquantina di “scoiattoli” politicamente apolidi potrebbero pure finire nel carniere, quanto i 451 Grandi elettori che in via potenziale dovrebbero rappresentare lo spesso “massetto” su cui costruire la casa del sogno. Le certezze si fanno meno granitiche giorno dopo giorno. Al punto da sbottare con Salvini e Meloni che insistevano a Villa Grande per conoscere i nomi delle “prede”: «Non chiedetemi se ho i numeri, ditemi se ho i vostri». E la mano sul fuoco non potrebbero metterla né l’uno né l’altra. Sarà anche per questo che dai domiciliari Denis Verdini verga suggerimenti a Dell’Utri e Confalonieri, focalizzando il “metodo Mastella” – riconoscibilità del voto attraverso escamotage in voga da sempre in ogni categoria – e pregandoli di fare di tutto per portare al Quirinale Silvio, ma senza impiccarsi, magari virando dal quinto scrutinio in poi su un’indicazione dirimente di Salvini, fra l’altro genero dell’ex banchiere già tra i fautori del “patto del Nazareno”.
Berlusconi ci crede ancora, ma con l’avvicinarsi della data fatidica gli vengono notificati messaggi sempre meno rasserenanti. Il centrosinistra ha alzato un muro invalicabile al cospetto del suo nome e ora dopo ora si susseguono dichiarazioni sempre più aspre circa la sua adeguatezza nel ricoprire un ruolo che prevede «un indiscutibile profilo morale»: ieri un asso l’ha giocato Laura Boldrini. Ci si è messo pure il presidente della Camera, Roberto Fico, a seminare il campo del Cavaliere di mine, prendendo in considerazione l’ipotesi – che ha già precedenti, anche specifici – di pronunciare solo il cognome del votato durante le operazioni di scrutinio, la qualcosa impedirebbe ad “azzurri” e soci di individuare la provenienza partitica degli elettori. Da ultimo, ma non per ultimo, sempre più marcata si fa la diffidenza sul successo dell’operazione anche nell’entourage di Silvio: posizione che in origine si era ritagliato Gianni Letta. Lo stesso Salvini non perde occasione per ribadire che non rinuncerà a giocare il ruolo di “king maker”, il che lo fa apparire più seguace di Confucio che non di Berlusconi, invero atteso sulla riva del fiume, senza per questo meditar vendetta.

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