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Tutti i numeri del Presidente: la "conta" diventa un harakiri

epa09714118 A general view of the Chamber of Deputies (Lower House) during the fifth ballot of the presidential election, in Rome, Italy, 28 January 2022. Italian lawmakers from both houses of Parliament and regional representatives on 28 January are taking part in the fifth ballot of the presidential election, after the first four rounds of voting proved inconclusive. EPA/ROBERTO MONALDO / POOL

Che i numeri non ci fossero lo si sapeva. E nel centrodestra hanno toccato con mano che il “diritto” di prelazione alla scelta basato una presunta maggioranza relativa di Grandi elettori, altro non era che una debole presunzione algebrica. Implosa alla prima vera conta. Auspicata da Giorgia Meloni, ma voluta soprattutto da Elisabetta Casellati. Presidente del Senato che si è sovraesposta come mai nessun altro nella storia della Repubblica ricoprendo la seconda carica dello Stato.

Un harakiri personale. E un suicidio politico, da ascrivere al segretario leghista Matteo Salvini. Almeno 70 i voti in meno del “cartello”, una clamorosa fronda interna andata anche al di là della più fosca previsione avanzata alla vigilia dai centristi. Un passo falso che ha costretto Salvini a incontrare Draghi prima, Letta e Conte a stretto giro. E avviare un’interlocuzione su un profilo super partes. Elisabetta Belloni e, in seconda istanza, Marta Cartabia le soluzioni “rosa” che oggi potrebbero portare alla svolta. Salvini e Conte i più ottimisti, cauto Letta, contrarietà a sinistra e in vaste aree del Pd. Incognite dalla galassia dei cento parlamentari del Misto, tuona invece Matteo Renzi: «Inaccettabile eleggere al Quirinale il capo dei servizi segreti». E in serata gli fa eco Forza Italia, bocciando l’ipotesi Belloni, così come i centristi di Toti e Cesa.

Mentre si consumava lo psicodramma del centrodestra, con gli esponenti di Forza Italia in fuga da ogni microfono o taccuino, e Salvini a tentare di riannodare il filo di un confronto invero mai promosso fino al primo pomeriggio di ieri, a Montecitorio si registrava, tra centinaia di assenze, l’onere di fronteggiare il sesto scrutinio. Ed accade, anche in questo caso, quel che era ampiamente prevedibile con frotte di Grandi elettori senza guida e a briglie sciolte: una valanga di consensi non richiesti sul presidente in carica Sergio Mattarella.

«Bene rifugio» che solo nel caso in cui si conclamasse una crisi di sistema forse accetterebbe un secondo mandato. Ma anche in questo caso estremo dovrebbero andare a chiederglielo tutti i leader, e sarebbe il sigillo di cera lacca sul fallimento della politica.
Oggi il crocevia decisivo? Non solo Belloni e Cartabia (nel mazzo spunta anche Severino) le carte su cui puntare, perché la strada è in salita. Il premier Draghi resta in campo, come lo resta Pierferdinando Casini. L’indicazione dei leader dovrà essere chiara e non potrà raggiungere i parlamentari via messaggio a ridosso del settimo scrutinio.

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