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Tanto rumore per nulla? Tutt’altro. Questo centrodestra non c’è più

Il lieto fine d’una settimana buia

Déjà vu: alcune forze politiche, poco propense a cercare una sintesi in nome del superiore interesse del Paese, che vagolano per troppi giorni sparacchiando qui e là nomi più o meno plausibili per il Quirinale. Alla fine, davanti alla cruda spietata evidenza della bocciatura in Parlamento, sono costrette – spalle al muro – a ripiegare sull’usato sicuro, sul Capo dello Stato uscente. A Giorgio Napolitano fu chiesto nel 2013 di rimanere al Colle, ieri identica “supplica” è stata rivolta a Sergio Mattarella. Entrambi, avendo a cuore il futuro del Paese, per quanto un secondo mandato non fosse certo nei loro piani, hanno accettato.

Mattarella-bis, quindi. Non potevamo permetterci, in questo 2022 – è bene sottolinearlo – una situazione politica di instabilità. Si sta provando a rimetter fuori a fatica la testa fra le macerie causate dalla pandemia, il Pil dà qualche segnale di ripresa, Bruxelles ci osserva e ha promosso il nostro Piano di ripresa e resilienza. Ci sono, da gestire con oculatezza, fondi europei e progetti nostrani che mirano a un vero rilancio del “sistema Italia”. Il destino del governo – affermiamolo senza ipocrisie –, legato a doppio filo alla scelta che sarebbe stata fatta per la presidenza della Repubblica, non doveva essere messo in pericolo. Perché questa faccenda dell’economia da rimettere al più presto sui retti binari – basterà non perdere di vista, ad esempio, il petrolio e l’inflazione, guardare ai numeri disastrati delle imprese che stanno per aggiungersi a quelle già chiuse – o è fondata o davvero viviamo in un mondo dominato da biscazzieri che forse hanno pure qualche problema psichiatrico. Ebbene, siccome le difficoltà in cui viviamo sono, ancora e gravemente, sotto gli occhi di tutti, anche solo aver titubato, in un palese stato confusionale, nell’individuazione – in questo frangente storico – della persona giusta per il Quirinale, ingenera sgomento e tantissima amarezza.

Un teatrino indecoroso, quello che è stato offerto agli italiani, provati dalla pandemia e da tanti, prolungati sacrifici. Serviva un nome condiviso, serviva una dimostrazione matura di unità nazionale. In modo particolare il centrodestra, invece, ha dato pessima prova di sé. L’insistenza di Giorgia Meloni e l’iperattivismo di Matteo Salvini, dopo il tormentone Berlusconi che aveva già inficiato per giorni e giorni il dialogo nella maggioranza, hanno prodotto il pasticcio Casellati, una pagina buia per la presidente del Senato – seconda carica dello Stato – inutilmente “umiliata”, e per tutto il Paese, costretto ad assistere a uno spettacolo di cui avrebbe fatto volentieri a meno. Ieri lo scisma a destra si è definitivamente consumato: la Lega, ormai più di Giorgetti che di Salvini, le cui quotazioni – dopo questi convulsi giorni – sono ulteriormente precipitate, ha assicurato il suo sostegno alla rielezione di Mattarella, ha di fatto ribadito la propria fedeltà al governo, ha separato – con uno strappo ben più forte di quello d’un anno fa – la sua strada da quella di Fratelli d’Italia.

Il centrodestra non c’è più. La coalizione, fra i 59 franchi tiratori che hanno “tradito” la Casellati e la virata leghista a favore d’un Mattarella-bis, è rimasta strozzata. «Tutto da rifondare», avverte furiosa la Meloni. Lei rimane all’opposizione a cavalcare il malcontento, facendo proseliti tra i no-Draghi, i no-vax, i no-a-tutto. La Lega prova a sgomitare per avere più peso nel governo. I forzisti mostrano di voler accentuare la loro vocazione centrista.

Quanto alle altre forze presenti in Parlamento, saltano agli occhi le contraddizioni all’interno del M5S. Bene... Giuseppe Conte fin quando è rimasto taciturno, male quando ha dato la sensazione, in sintonia con Salvini, di girare a vuoto finendo con l’essere sconfessato da Di Maio sulla Belloni, capo dei Servizi e “bocciata” subito, per incompatibilità, da Matteo Renzi, rimasto – non lo si può negare – lucido e fermo, fra Draghi e un Mattarella-bis. In sintonia, e non capitava da tempo, con il Pd di Enrico Letta, cauto e attendista.

Il resto è l’Italia reale: con Mattarella a “vegliare” mentre Draghi, che a poco a poco si sta abituando all’irrazionale e all’egoismo che è in certa “politica”, prova a portarla avanti.

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