Morire nel 2022. Di guerra, in Europa. Morire perché la civiltà – noi, qui e ora, con la nostra etica, i nostri computer e le nostre sopraffine e globali tecnologie – è solamente un’illusione. La più subdola da immemorabile tempo, perché ci aveva convinti d’essere finalmente esenti da tanta primitiva barbarie. Sono giorni, questi, non d’esecrabile orrore preso a prestito da selvagge terre “remote” – cos’altro è stato, il pianificato eclatante crollo delle Torri Gemelle? –, ma di inferno nostrano, che (visto da un Ovest appena “lambito”, almeno finora) cresce gradualmente tra dispacci, appelli, contraddittorie didascalie che descrivono o negano lo sterminio di giornata. Morire perché Vladimir Putin, che regna indisturbato in Russia dagli albori del nuovo Millennio senza che nessuno, a eccezione... di Navalny, abbia mosso dito per contrastarlo, ha deciso di ridisegnare i confini russi à la manière di Pietro il Grande. Fin dall’inizio ha mirato a “riconquistare” l’Ucraina per intero, mal sopportando che cercasse anche solo di candidarsi a diventare un Paese Ue o, ancor peggio, una dépendance della Nato. Non frega nulla, a Putin, del Donbass: lui rivuole il “cuore” della Madre Russia, rivuole Kiev, quella di Mussorgsky e di Gogol, rivuole Odessa, l’affaccio al mare, rivuole Yanukovich, il servo defenestrato dagli ucraini nel 2014, lo vuole – lui o un facsimile – alla presidenza come, in Bielorussia, ha voluto Lukashenko. Fantocci di Mosca, mere comparse d’una ricostruita “Unione”. E Putin, paladino di un neobolscevismo per Dna illiberale, parla – proprio lui – della necessità di «denazificare l’Ucraina»: certo, pesca facile accusando i nazionalisti alla Zelensky, sono “molto più” che patrioti, e – inclini alla demagogia – pedine utilissime all’ingordo espansionismo americano negli Stati nati dalle macerie dell’Urss. Ebbene, Putin non è disposto a rimettersi a coloro che, dopo di lui, saranno alla guida del Cremlino: l’uomo è di quelli che lega il “ritmo” della Storia al proprio, e – mentre gli anni lo incalzano – teme probabilmente il venir meno delle forze e della forza. Sicché, suggestionato dalle sirene d’un feudalesimo postmodern intriso d’una “filosofia” di chiara matrice irrazionalistica, deve fare tutto adesso, mentre è ancora “in tempo”. Di là dell’Atlantico, c’è un Biden finalmente – per lui – in risalita nei sondaggi: di otto punti percentuali, grazie alla postura assunta prima e durante questo conflitto. Il pensiero è alle elezioni di medio termine di novembre: un eventuale robusto “ritorno” repubblicano avrebbe effetti devastanti e paralizzerebbe l’azione presidenziale, Biden deve riuscire a evitarlo. E l’Ucraina, dopo il disastro afghano, rappresenta – la politica, specie quella bassa, è cinismo – un’occasione. L’Unione Europea, già esposta a durissima prova dalla pandemia, e impotente oltre ogni ragionevole dubbio, è stata di nuovo catapultata in vetrina. Deve fare i conti con i peggiori incubi, non può nascondere i timori, si è fatta carico – una volta di più – dei propri limiti. Le democrazie, in un’era totale, dovrebbero affinare i propri strumenti, attrezzarsi per fronteggiare chi non ha bisogno di godere d’un consenso reale perché in grado di imporre i... like col pugno di ferro. Invece vivono in tracotante autoreferenzialità, finendo sempre col ritrovarsi spiazzate quando salta questo o quel piccolo grande schema. Ai nazionalisti ucraini l’Ue non può, sul piano bellico, che dare “il minimo” – esclusa categoricamente la no-fly zone, no all’ingresso nell’Ue, men che meno nella Nato, soltanto «armi di difesa» –, alla Russia non poteva che infliggere sanzioni. Severe, tanto da precipitarla – di fatto – “in default”, ma “solo” sanzioni. D’altra parte, davanti alla sbandierata minaccia atomica, in un mondo così come – America in testa – l’abbiamo costruito, non sarebbe possibile fare altrimenti. Il capitalismo reagisce con i mezzi del capitalismo: spesso contengono violenza, ma il più delle volte s’evita il sangue a vista, non si è causa di «raccapriccianti scene d’umana sofferenza» come quelle descritte dalla Croce Rossa impegnata a dare assistenza sanitaria e conforto in Ucraina. Si è causa, però, dei guai che esplodono in casa propria, determinati dalla grave carenza di gas e petrolio. Ci si consola con una parvenza di (re)inventata unità. Resta la Cina, che blandisce la Russia in chiave anti-americana e prova a rafforzare l’asse eurasiatico. E intanto si prepara a un’operazione-fotocopia a Taiwan. Tra i vari attori anche Israele, che strizza l’occhio al Cremlino cercando una sponda contro il nucleare iraniano, ed Erdogan, il... Putin turco con l’ossessione curda. Anche nel suo caso si potrebbe parlare del “diritto” del più forte: quando la democrazia è una finzione e nessuno, a eccezione di qualche Navalny, profferisce sillaba. A ciascuno il proprio teatrino.