L’agenzia Ansa, sabato scorso, ha diffuso le immagini dei bambini, dei neonati e delle mamme sott’assedio nell’acciaieria di Azovstal, a Mariupol, la più profanata fra le città ucraine. Esseri umani che non vedono la luce da settimane. Stanno lì, in attesa che vi sia finalmente una svolta, che consenta loro di ritornare a qualcosa che “somigli”, se pure tra le bombe e le mine e ogni vigliacca trappola lasciata dai soldati russi, all’aria del giorno. Una sola caparbia irriducibile speranza, quella di venirne in qualche modo fuori: dall’acciaieria, da tutto questo, dall’inferno in cui si è improvvisamente precipitati. Innanzi c’è la determinazione feroce d’un esercito invasore con precise “regole d’ingaggio”: vincere uccidendo ma pure umiliando e delegittimando «i nemici», cui togliere soprattutto – prima che la vita – l’identità.
L’Ansa ha, ovviamente, “lanciato” le foto dopo aver schermato i visi dei bambini. In Europa i minori vanno tutelati: è imposto ai giornalisti di evitarne la riconoscibilità. In Italia la “Carta di Treviso” non lascia adito a dubbi: pixellare i visi, punto. Ed è giusto così. Le foto di Azovstal hanno un importante valore documentale: illustrano, senza bisogno di didascalie, la barbarie e insieme la schizofrenia del nostro mondo. Sì, perché la Russia non è un piccolo Paese sperso chissà dove. Ce l’abbiamo accanto, enorme e con una storia enorme, con un passato lungo, certamente tormentato, con stagioni molto buie e altre straordinariamente feconde: ha prodotto artisti e pensatori immensi, ha espresso – tra l’Europa e l’Asia – una cultura da cui l’intera storia umana non potrebbe prescindere. La Russia, a questo volevamo arrivare, fa parte – a pieno titolo – del nostro mondo. Ebbene, ci sono fra noi milioni di persone (guardiamo ai sondaggi in Russia e al gradimento di cui gode Putin) che non esitano a considerare quantomeno accettabile l’infliggere a bambini innocenti il supplizio d’una guerra, ma ci sono pure milioni di altre persone che “coprono” – sempre e comunque – i visi dei piccoli indifesi per salvaguardarne il diritto di crescere in totale e incondizionata libertà. Al contempo li crocifiggiamo e li proteggiamo. Il fatto è che non lo scopriamo certo adesso: solo l’ipocrisia ci ha consentito, per limitarci a tempi recenti, di distogliere lo sguardo dall’Iraq, dall’Afghanistan, dalla Siria, dai conflitti disumani nell’ex Jugoslavia. Ora l’ipocrisia è identica, ma stavolta fa rima con schizofrenia perché la guerra è dentro le mura di casa.
Dopo ventiquattr’ore l’Ansa ha fatto il bis. Ha proposto le foto, diramate dal Cremlino, che ritraggono Putin in pensosa preghiera a Mosca, in chiesa vicino al patriarca Kirill. Momenti di… intensa spiritualità, davvero poco credibile a fronte delle immagini cariche d’orrore dell’Ucraina sventrata dalle bombe e dei civili in fuga dai missili e dai tank del Cremlino. Niente tregue, niente corridoi umanitari, ma solo – a singhiozzo – un negoziato che è una farsa. Tanta ferocia, tanta (appunto) ipocrisia, una narrazione inevitabilmente “schizofrenica”.
Anche la lettura della situazione sta mostrando l’anima bipolare del nostro mondo: in pochi riescono a dire che Putin, persona insensibile agli spargimenti di sangue e poco incline alla diplomazia e alla democrazia, sta facendo macelleria a tal punto da far dimenticare la politica “espansionistica” Usa nell’est Europa e le mosse Nato, in questi ultimi anni, nella stessa area. Pure in Italia ci si sta schierando come son solite fare le tifoserie ultrà: o con Kiev, capitale d’ogni terrena giustizia, e chissenefrega delle “zone d'ombra” (un eufemismo chiamarle così) nell’affaire Donbass, o con Mosca, e tutto è giustificabile perché si sta reagendo a ingerenze territoriali contro un pugno di ultranazionalisti.
Quanto a Putin, che ha goduto di ammirazione, qui e là in Occidente, una postilla a proposito di ipocrisia. Come hanno fatto, in così tanti, a trascurare le denunce – pagate, tutt’oggi, a carissimo prezzo – urlate davanti al mondo intero da Alexander Navalny? E da Anna Politkovskaja e Garri Kasparov? Da più di vent’anni, in Russia, la democrazia è stata cancellata. Milioni di europei lo vanno ripetendo e sono rimasti senza fiato, altri hanno avuto bisogno di questa guerra per smettere d’essere ipocriti.
Il pericoloso ultranazionalismo che circola in metà del Vecchio Continente, specie a est, è un’altra storia. Che andrebbe affrontata con le “armi” della migliore Europa: non serve elencarle, suonerebbe retorico. E questa è un’altra storia ancora.
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