L’insularità è uno stato geografico e una condizione dell’anima. È un privilegio ed è anche l’altra faccia della medaglia. Isola significa pure isolamento, che può essere splendido o penoso e drammatico. Noi messinesi conosciamo bene cosa significa essere Isola e, nello stesso tempo, essere porta del Continente, quindi crocevia, terra di passaggio alla quale, però, manca letteralmente sotto i piedi il terreno, perché è una terra fatta solo di acqua. Ed è bellissimo lo Stretto, lo sappiamo, lo cantiamo e decantiamo ogni giorno, ci inonda gli sguardi, ci incatena a questa città, colora d’azzurro le nostre giornate, anche quelle più grigie, entra nei nostri balconi e verande, pranza e cena con noi, si insinua nelle notti stellate e in quelle di luna piena, fa da garante e da sensale dei nostri amori. Ma tra l’Isola e il Continente non è terraferma, è terra d’acqua. Ed è origine, fonte, radice, del nostro isolamento. Proprio in questi mesi del 2022 lo Stato italiano, per la prima volta nella storia della Repubblica, ha riconosciuto nella Carta costituzionale la condizione di insularità come svantaggio per le popolazioni di Sicilia e Sardegna nei confronti di quelle che abitano il resto del Paese. La Regione siciliana, con uno studio approfondito e dettagliato, commissionato dal vicepresidente Gaetano Armao, ha quantificato in ben sei miliardi annui il costo provocato dall’insularità intesa come isolamento e dalle sue conseguenze negative. Conseguenze sullo sviluppo, sull’economia, sui trasporti, sulle merci, sui rapporti sociali, sui flussi di pendolarismo, sulla stessa visione culturale e strategica dei luoghi. La solitudine, lo ripetiamo, può essere anche un’ancora di salvezza nella vita, se diventa corazza spirituale, se si trasforma in uno stato di serenità e di imperturbabilità rispetto agli eventi, esteriori e interiori. Ma l’isolamento è altra cosa, è essere costretti a stare distanti dagli altri, è non avere eguali condizioni rispetto agli italiani di altre regioni, è vedere andare in fumo una quantità enorme di investimenti e di opportunità, sprofondando nell’atavico atteggiamento di rinuncia e rassegnazione, entrate ormai a far parte del dna dei messinesi e di gran parte dei siciliani. La giornata di ieri (ma è solo un esempio tra tanti) ci ha mostrato per l’ennesima volta il volto peggiore dell’insularità. Siamo schiavi dell’attraversamento dello Stretto, non abbiamo possibilità di scelta, come avviene, invece, in tutta Europa, ci affidiamo, comunque e sempre, alle navi, a chi ne gestisce il “business”. E anzi non facciamo altro che immaginare scenari futuri denominati “attraversamento dinamico dello Stretto”, cioè ancora più navi, più soldi agli armatori e alle Ferrovie. Intendiamoci, il servizio di trasporto marittimo è stato, è e resterà indispensabile, perché la geografia ci ha collocati qui, sulle rive di un braccio di mare unico al mondo, mica siamo sulla pianura padana... Però, tutte le principali località europee sono servite da trasporti marittimi, ferroviari, aeroportuali (e portuali, quando sono sedi di porti). A Messina ci sono solo i collegamenti marittimi. Quelli ferroviari si interrompono con la drastica cesura rappresentata proprio dal mare. Se ci fosse stato, in tutti questi decenni, il collegamento stabile avrebbe rimosso le condizioni negative dell’insularità e arricchito la dotazione infrastrutturale di un’area, come quella dello Stretto che, a parole, viene considerata una delle più importanti piattaforme logistiche del Mediterraneo. E invece raccontiamo sempre le stesse storie, le stesse scene, le stesse immagini, di una apparentemente breve ma, in sostanza, abissale, distanza tra noi e e il resto d’Italia e d’Europa.