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Elezioni politiche: la vincitrice, gli sconfitti, il mondo intero che ci guarda

L’ennesima scommessa degli italiani

L'editoriale del direttore della Gazzetta del Sud, Alessandro Notarstefano sulle elezioni politiche

Proviamo a rimettere insieme qualche pezzo. Chi ha fatto cadere il governo Draghi? Tutto è avvenuto alla luce del sole, sicché la risposta è inconfutabile: Conte, Salvini e Berlusconi. Chi, tra costoro, ha vinto e perso, l’altro ieri, secondo il verdetto – anche questo inconfutabile – delle urne? A Conte, che s’è... “reinventato” il reddito di cittadinanza, è andata benissimo, ché ha ripescato il M5S dagli abissi e l’ha riportato a nuotare con bella appagante disinvoltura in superficie. A Salvini e Berlusconi, invece, è girato tutto per il verso storto: il leader della Lega, che dall’ultimo mojito al Papeete non ne azzecca una smentendo – persino – la legge dei grandi numeri, ha dilapidato l’Everest (immeritato) di consensi di cui ancora godeva fino all’estate 2020, e adesso rischia la segreteria – Giorgetti, Zaia e Fedriga non sembrano volergli lasciare la possibilità di fare altro irreparabile danno – ; il fondatore di FI, tanto esausto “per limiti d’età” da aver disertato la campagna elettorale, è precipitato al minimo storico – già prima del voto aveva dovuto prendere atto della fuoriuscita di alcuni “pezzi pesanti” che hanno preferito il Terzo polo –.
E passiamo, per l’appunto, a Calenda & Renzi. Non hanno sfondato, sono rimasti a una cifra, e costituiscono – non per colpa loro – il perfetto paradigma dell’inadeguatezza del Rosatellum, una legge elettorale pensata per un sistema (e un Paese) bipolare e senza terzo incomodo – come lo fu, già nel 2018, il M5S – Chissà perché, abbiamo la sensazione che il sodalizio abbia giovato più a Renzi, che – intravvedendo rischi seri per Italia Viva – si è tolto dalle secche dell’insidiosa soglia di sbarramento. Siamo certi che il “frontman” Calenda, nel silenzio del dopo, in queste ore si stia facendo due conti. Più che sui seggi, sull’estetica politica, e il messaggio, arrivati alla gente.
Altro sconfitto è Enrico Letta. Per come ha gestito la “campagna” estiva: quantomeno frettolosa la mossa – gravi le ripercussioni anche sul voto in Sicilia – con cui ha interrotto i rapporti con il M5S, e frettoloso lo strappo con Azione-Iv. Non è riuscito, il segretario Pd, pur conoscendo le “caratteristiche” spietate del Rosatellum, a chiudere un accordo elettorale con nessuno dei due interlocutori di buon peso che pure gli si erano offerti per una “partnership”. Il “piacere” di correre da soli (o quasi), scelta peraltro apparsa posticcia agli italiani, non ha pagato. E al congresso Dem del 2023 – ieri Letta ha annunciato che non si ricandiderà – dovrà esserci un efficace cambio di testimone se il Pd vuole darsi un futuro.
E approdiamo finalmente a lei, a Giorgia Meloni. Stare all’opposizione dà buoni frutti. E la futura premier, peraltro, è stata accorta. Critiche, ma non chissà quali sassate al governo Draghi, e navigazione a vista contrappuntata da rassicuranti messaggi sulla sua fedeltà all’euroatlantismo, sul suo incondizionato sostegno all’Ucraina, sul «no» fermo a uno scostamento di bilancio per incentivare la ripresa italiana. Messaggi tesi a tranquillizzare il mondo – da Bruxelles... al New York Times e alle agenzie di rating – circa la sua normalità. Da brava occidentale allineata e coperta (sui “diritti civili” in patria sembra profilarsi, purtroppo, meno generosa duttilità...). Certo, la sua vicinanza all’ultradestra polacca e agli spagnoli di “Vox”, le foto con Viktor Orbán, tutto sono fuorché rasserenanti, ma vogliamo confidare – un’apertura di credito – in un “ravvedimento”, necessario, sugli “eccessi”, e nelle “buone intenzioni” nei confronti dell’Europa, a cominciare dal rispetto dei vincoli legati al Pnrr.
Il nuovo governo avrà pochissimo tempo per varare la legge di bilancio. Tutto questo mentre il prezzo del gas spaventa, così come preoccupa l’escalation della guerra in Ucraina, che va a ricalco sul campo ma si fa più brutta nei pensieri di Mosca.
La sovranità nazionale – nel solco della Costituzione – è concetto cruciale, ma va accantonata la demagogia, troppo pericolosa. L’Europa non è il nemico, né lo sono gli altri Stati sovrani che vanno semmai (Merkel docet) alleggeriti dei loro miopi egoismi. Unità e integrazione, non c’è altra strada avendo “intorno” America, Russia e Cina.

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