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I primi giorni di Giorgia Meloni tra “contingenza” e “necessità”

L'editoriale del direttore Alessandro Notarstefano sui primi cento giorni di Giorgia Meloni.

Contingenza e necessità, concetti imprescindibili specie in tempi come i nostri. La contingenza fa da bussola alla politica di qualsiasi colore abituata a parlare... in berlusconiano, mentre la necessità ispira quella politica che, per virtù morale, non ascolta le convenienze.
Privilegiare la contingenza è prendere spregiudicatamente la forma delle cose: se il Paese si schiera, secondo il tal sondaggio, più a favore di XYZ, ecco che in un battibaleno si stravolge – eventualmente – la propria posizione e ci si rivende felici, confidando nella memoria corta del popolo sovrano. L’immoralità è tutta in quello “spregiudicatamente”: quando, cioè, si è pronti a centottanta gradi di trasformismo pur di far cassa alle urne.
Guardare invece, vis-à-vis, la necessità è snobbare le derive accidentali della Storia e rimanere fedeli ai princìpi che dovrebbero propiziarne gli esiti più auspicabili: plasmare le forme di ogni singola cosa perché sia sempre, ogni scelta, “a immagine e somiglianza” della migliore umanità. Però mai si deve “trasformare” il necessario, che pertiene appunto all’essere umani nella Storia, in una asfittica astrazione.
Ed eccoci a Giorgia Meloni, ai suoi primi giorni da premier. La “presa di distanze” dal fascismo, il “blitz” a Bruxelles, l’importante trasferta in Egitto per la Cop27 e non solo, il prioritario capitolo del Pnrr con lo scottante “corollario” del caro bollette, la spinosa questione dei migranti, tra barconi e barchini, le regole del mare e i precari equilibri nella maggioranza. Quanto Meloni ha accondisceso, con furbizia, alla contingenza e quanto si è fatta guidare, con senso etico, dalla necessità?
Dopo essersi professata atlantista sfegatata al punto da convincere ogni creatura vivente dell’emisfero boreale, Meloni, una volta premier, ha dovuto procurarsi in fretta e furia una carta d’identità europea. In patria – parola di cui dovrebbero riappropriarsi tutti gli italiani, anche quelli che seguitano, se pur con debite ragioni, a travisarne il senso – Meloni ha immediatamente sconfessato il fascismo. Lo ha fatto, così almeno ci è parso, a denti stretti, forse per non oltraggiare troppo i suoi elettori anziani, quelli ancora “missini”, ma lo ha fatto. Nessun omaggio alla Resistenza, ma si è comunque mossa, Meloni, nel solco della svolta di Fiuggi siglata Fini. Non ha esitato, la ragazza del Fronte della gioventù: soltanto... contingenza, in vista dei delicatissimi incontri con Ursula von der Leyen, Charles Michel e Roberta Metsola?
Nelle diffidenti stanze europee Meloni è stata guardinga. Parola d’ordine, chissà quante volte ripetuta a se stessa: rassicurare. Al tempo stesso, perché la frase – anche – rimbalzasse in Italia, ha ribadito di volere solamente «difendere gli interessi nazionali». Meloni mirava anzitutto a far passare l’idea che questa nuova Italia di destra non è anti-europeista e non vuol creare problemi. Men che meno mentre, a suggello dell’era Draghi, stanno arrivando a rate i miliardi dell’Ue che servono a dare una spinta al nostro Paese. La “svolta”, sotto le Alpi, ad alcuni è apparsa come una incredibile inversione a U, ad altri come un’ispirata naturale conversione.
A Sharm el-Sheikh si è parlato di clima, e Meloni – pure in questo caso – ha riaffermato tutti gli impegni precedentemente assunti dall’Italia davanti alla catastrofe climatica globale. Ben più scabrosi i temi toccati nell’incontro bilaterale col presidente Al Sisi: palesemente, questi sì, prioritari per Meloni. L’energia, i giacimenti di idrocarburi, la Libia, i migranti. Meloni ha messo le basi per “intese fruttuose”, badando – in mezzo al “business” – a non tralasciare quantomeno i nomi di Giulio Regeni e Patrick Zaki, vittime del regime egiziano, capace di omicidi e terribili torture, fisiche e psicologiche, come nei peggiori secoli bui.
Tra le mura di casa Meloni è ora alle prese con l’emergenza energetica, i “ritocchi” al Pnrr, il pressing leghista per la flat tax che cela – ci sembra – più di un’insidia, le navi delle Ong. Ebbene, adeguate correzioni in corsa possono dare, talvolta, la “misura” delle persone. Sui migranti, alla fine lasciati sbarcare a Catania, Meloni ha mostrato di essere scaltra e diversa da Salvini. Lanciato il segnale, che da lei ci si aspettava, a Bruxelles, poi – con i medici a fare da comodo paravento a destra – ha reso possibile quel che le è parso più utile per la sua nuova carta d’identità europea. Un miracolo – in questa circostanza nessun dubbio – della contingenza

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