Differenziata: aggettivo femminile singolare. Poco utilizzato fino a qualche anno fa, quando ancora – refrattari a tutelare l’ambiente – mischiavamo i rifiuti nella pattumiera di casa e poi giù tutto in strada, in cassonetti tanto universali quanto brutti e, spesso, sporchi. Ce n’è voluta di perseveranza, per vincere l’indifferenza: lentamente, è passato il messaggio sull’importanza d’un corretto smaltimento e – se possibile – d’ogni utile e prezioso recupero, che si parli di carta o di vetro o della parte migliore (più civica e solidale) di noi stessi.
Ebbene, a governare il Paese – in questo momento – è una maggioranza palesemente differenziata: anime diverse, che di continuo si calibrano sulle contingenze modellandosi caso a caso in cerca di uniformanti sintonie, a volte forzate, a volte meno. Da una parte le radici missine, dall’altra l’ampolla di Pontida, la “sacra Patria” e il “sacro Po”: queste le origini di FdI e del Carroccio (si chiamava Lega Nord, una volta, sarebbe bene – forse – non dimenticarlo mai). Al centro FI, padre fondatore Berlusconi, ago che modera la bilancia, l’unico schieramento “pacato” di un gruppo molto più eterogeneo di quanto non voglia far apparire.
Identitarismo nazionale e identitarismo territoriale: se il sostantivo è eguale, e talvolta – in certe battaglie d’impeto – può fare da collante, i due aggettivi scavano anni luce tra le posizioni e gli obiettivi dei post-missini e dei figli di Alberto da Giussano. Nazionalisti e settentrionalisti che, elezione dopo elezione, si contendono i voti meno ideologici, quelli più legati allo… stomaco del periodo: non è certo un caso che a destra il travaso di consensi avvenga soprattutto dagli uni agli altri e viceversa. Eccola, quindi, la maggioranza differenziata che avanza a colpi di veti e concessioni in un “regime” di indulgente reciprocità. Salvini non sta intralciando la crociata di Meloni e la sua legge sul premierato, Meloni non ha intralciato il progetto nordista firmato da Calderoli (sì, lo stesso del “Porcellum”) che riparametra l’Italia sulla base della forza delle regioni. Ne vien fuori uno strano cocktail, tra aspirazione sovranista e nostalgie secessioniste. Con Tajani a mediare “in casa”, ogni santo giorno e ogni santa notte, provando al contempo, “fuori casa”, a raccontare all’Europa (ancora, dopo le urne, a trazione Ppe-Pse) che il centrodestra italiano è, tutto, convintamente europeista, convintamente pro Ucraina, e in nessun modo “pericoloso” – in queste ore il vicepremier, e leader di FI, sta facendo pressing su Ursula von der Leyen perché allarghi senza patemi la sua maggioranza a Ecr di Meloni invece che ai Verdi –.
E andiamo all’ultima “differenziata”, quella fresca (o maleolente?) di giornata. Il ddl 1665 ieri divenuto legge è composto da undici articoli e sarà lo strumento cui ricorrere per l’attuazione dell’autonomia da parte delle regioni a statuto ordinario che ne faranno richiesta. Potranno, è bene ricordarlo, “rivendicare” competenze esclusive su una o tutte le ventitré materie indicate, tra cui salute, istruzione, ambiente, energia, trasporti, cultura, commercio estero, sport. In gioco, è fin troppo chiaro, due princìpi fondamentali cui fa espressamente riferimento la Costituzione: l’unità del Paese e l’uguaglianza dei cittadini (mai messe a rischio – di fatto – dalle regioni a statuto speciale). Tant’è che, su richiesta di FdI, proprio per migliorare il “frettoloso” testo della Lega, è stato modificato l’articolo 4: il trasferimento delle materie alle Regioni potrà avvenire soltanto dopo la determinazione dei Lep (Livelli essenziali di prestazione), e sulla base delle risorse disponibili. Per determinare i livelli e i costi dei Lep saranno necessari decreti legislativi ad hoc: il governo ha due anni di tempo. Lo Stato e le Regioni avranno quindi cinque mesi per arrivare a un’intesa. Che sarà possibile protrarre.
Legittima e da sottoscrivere la ribellione di Occhiuto, Bardi, De Luca. I presidenti azzurri della Calabria e della Basilicata, assieme al governatore campano, ribadiscono la loro contrarietà alla legge varata dall’esecutivo FdI-Lega-FI: di tutto si può parlare, ma dove sono le risorse per finanziare i Lep? Si è stati troppo irresponsabilmente precipitosi, e si mette a repentaglio il Sud, poco preoccupandosi dei lavoratori e delle famiglie. I deputati forzisti calabresi non l’hanno votata, ieri, la legge leghista. Un solco profondo, nella maggioranza e nel partito del Cavaliere: chissà lui che avrebbe detto, e fatto…
Eccoci al punto: la voglia, “insieme”, di nazionalismo e secessionismo rischia di generare – schizofrenicamente – creature imperfette e inique, che stravolgono la Carta Costituzionale e gli intenti dei padri fondatori della Repubblica: il premierato ridimensiona le prerogative del Quirinale, svilisce il ruolo cruciale – così com’era stato pensato a tutela d’una più solida democrazia – del Parlamento; l’autonomia differenziata, così com’è, senza alcun serio “approfondimento”, colpisce al cuore l’unità economica e sociale del nostro Paese.
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