
Una sconfitta atroce. Una sanguinosa cicatrice da rimarginare. E non perché giunta al supertiebreak del quinto set, dopo 5 ore e 29 di battaglia a protagonisti (protagonismi) alternati, piuttosto perché patita a un centimetro dal traguardo, quando ad Alcaraz andava avvitato l’ultimo bullone sul feretro agonistico già piombato: tre match ball sul 5/3 del quarto parziale in risposta, un dritto fuori di due centimetri, un altro affossato in rete per troppa fretta, l’opportunità più rilevante da destra sul 15/40 con un rovescio fuori di 30 centimetri, su secondo servizio dello spagnolo.
Le opportunità migliori nel momento, fisico, più difficile. Lui, Jannik, sempre così lucido nei frangenti decisivi.
Frettoloso sul Centrale di Parigi: forse perché anche lui stentava a credere a quello che stava facendo: il motore spinto ogni oltre giro. Semplicemente perfetto tatticamente per 2 ore.
Dopo un match surreale per due set, in cui Alcaraz è stato surclassato sulla diagonale destra, la sua preferita, quella che gli ha consentito la risalita. Scambi sanguinosi in orizzontale, profondi, lungolinea e incrociati. Intensità massima, Carlitos alle corde. Ma poteva… non bastare (e ce lo siamo detti). Certo, si potrebbe attingere alle statistiche ma non sempre offrono letture reale di sfide così al limite. Non tutti i punti hanno lo stesso valore in questo sport.
È accaduto a tanti. Panatta vinse nel ‘76 a Parigi dopo aver annullato 11 match ball al primo turno; Mc Enroe non ci dorme ancora la notte per quella volée fuori di un unghia sulla palla mach contro Lendl; Federer ha immolato finali sanguinose contro Nalbandian (Master, 2 set a 0 sopra), Del Potro (Us Open), Nadal (2 match ball a Roma), Djokovic (Wimbledon).
Il tennis è questo, lo sport del Diavolo: it is not over until is over.
Il quinto set è andato paradossalmente meglio di quanto si potesse prevedere: Jannik sgonfio di gamba e con un crampo da idratare, Carlitos in una bolla. Una evenienza era da evitare: il break in apertura. E invece è accaduto. Si poteva impattare sul 2 pari ma la palla break non è stata sfruttata. Poi il doppio fallo non visto dal giudice di linea e di sedia che avrebbe dato a Sinner, frattanto ripresosi, un altro match ball, ma anche questo è paradossalmente marginale, perché la partita aveva preso due ore prima un crinale diverso, beffardo. I match vanno “uccisi” al momento opportuno, perché poi diventano altro.
È finita come sappiamo: rammarico e dolore. La consapevolezza che ci sarà sempre un’altra chance: questi due stanno tre piani sopra ogni altro e li rivedremo ancora a contendersi i tornei più prestigiosi. E ogni loro sfida sarà uno spettacolo per gli amanti del tennis. Come Nole e Roger, Roger e Rafa, Mc Enroe e Borg.
Le carriere dei più grandi sono costellate di straordinari successi e atroci sconfitte. Funziona così, facciamocene una ragione. Godiamoci le emozioni, che per una volta vestono il tricolore. Alla prossima, perché c’è sempre una chance… a quei livelli.
Ps: dopo il match gli ordini di scuderie sotto forme di griffe. Entrambi con felpa di ordinanza della… dea, ed entrambi con il medesimo modello di orologio… coronato. Hanno di che consolarsi perché Jannik e Carlos solo di contratti per sponsorizzazioni valgono 60 milioni di dollari l’anno ciascuno. Ma ci sono trionfi, raggiunti o falliti, il cui valore non può essere quantificato. E Jannik non ci dormirà per un po’. Ci si rivede a Wimbledon
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