Lunedì 23 Dicembre 2024

Brexit, ore cruciali per l'accordo tra Regno Unito e Unione Europea

Ore cruciali e frenetiche per la Brexit. Un’ipotesi di accordo di divorzio fra Regno Unito e Ue è ormai sul tavolo, ma l’annuncio - già pronosticato dalla stampa tedesca e da fonti europee al più tardi per domani - resta per ora in bilico: appeso a Bruxelles alle decisioni dei leader nel vertice di mercoledì; e a Londra alle convulsioni interne alla maggioranza che sostiene il governo Tory, dove i venti di rivolta contro Theresa May si trasformano - tra i falchi brexiteers e non solo - in appelli espliciti all’ammutinamento. Stando a un memo filtrato fin da sabato sulla Sueddeutsche Zeitung, sembrerebbe tutto fatto, salvo il possibile inciampo dei «dettagli» finali. Con Downing Street rassegnata a cedere su alcuni punti nodali, a cominciare dalle garanzie che i 27 pretendono sul confine aperto fra Irlanda e Irlanda del Nord. Ma l'ufficializzazione per il momento slitta e dall’isola si frena. La stretta conclusiva, in ogni modo, pare dietro l’angolo, come ha confermato la missione a sorpresa del ministro per la Brexit, Dominic Raab, volato di domenica pomeriggio a Bruxelles per incontrare il capo negoziatore europeo Michel Barnier. Un faccia a faccia necessario ad affrontare «grosse questioni tuttora da risolvere», ha messo le mani avanti Raab. Ma che ha innescato l’immediato tam tam sul probabile «accordo raggiunto»: tanto più sullo sfondo della convocazione, subito dopo, di una riunione «straordinaria» degli ambasciatori dei 27. Alla fine lo scenario è stato ridimensionato a interlocutorio: incagliato ancora una volta su quel benedetto 'backstop', il meccanismo di salvaguardia che dovrebbe assicurare lo status quo in Irlanda almeno fino a una successiva intesa definitiva sulle relazioni future, ma che May sembra poter accettare solo a termine. Con un scadenza prefissata. Un nodo su cui non si prevedono ulteriori negoziati domani o dopo domani, si fa sapere in serata dalla capitale belga, e che dunque spetterà a capi di Stato e di governo sciogliere - in un senso o nell’altro - direttamente al summit di mercoledì. A Downing Street e dintorni, intanto, è tutto un invito alla cautela sull'interesse attribuito agli ambienti Ue a dare per scontata un’intesa «intransigente». Mentre altre fonti lasciano intendere che potrebbe trattarsi di teatrino diplomatico. E che la luce verde sarà data comunque, alla fine della fiera, magari con qualche aggiustamento limitato tale da permettere al governo di Sua Maestà di poter dire d’aver strappato qualcosa in più. I problemi interni alla compagine Tory rappresentano d’altro canto l’incognita suprema di questa fase. Sulla premier pesano i veti della corrente euroscettica ultrà del Partito Conservatore, che per bocca dell’ex ministro David Davis - dimessosi in estate con Boris Johnson - ha esortato i componenti del gabinetto più perplessi a ribellarsi: «esercitando la loro autorità collettiva» nel consiglio dei ministri contro May e contro i piani d’accordo all’orizzonte. Piani denunciati alla stregua di un tradimento sostanziale del mandato del referendum del 2016. Se questo non bastasse, si aggiunge la minaccia di un voto contrario all’imminente bilancio d’autunno da parte degli alleati della destra unionista nordirlandese del Dup, vitali per la tenuta di una risicata maggioranza ai Comuni quanto furiosi sul 'backstop': strumento vincolante che in mancanza di un successivo accordo sulle relazioni future imporrebbe di fatto all’Irlanda del Nord di restare nel mercato unico europeo assieme a Dublino (chissà fino a quando), a costo d’inevitabili barriere commerciali col resto del Regno. Un groviglio che sarà difficile dipanare nella conta parlamentare a Westminster, mentre il malumore 'unionistà contagia anche i pur moderati Tories scozzesi. E rispetto al quale, prova a scherzare il ministro degli Esteri Jeremy Hunt, persino il percorso del famoso labirinto di Chevening «sembra più lineare».

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