Lunedì 23 Dicembre 2024

La Brexit rischia di spaccare il Regno, la May nei guai

Theresa May

L’ombra dell’accusa di tradimento si allunga su Theresa May: affannosamente alla prese col tentativo di recuperare uno per uno i ribelli della sua maggioranza in pezzi in vista del voto dell’11 dicembre sull'accordo di divorzio dall’Ue raggiunto con Bruxelles, ma minacciata da un dissenso che continua in effetti a divampare su tutti i fronti. Oggi a inguaiarla è la pubblicazione della versione integrale del parere legale raccolto dall’attorney general Geoffrey Cox per conto del governo Tory sui potenziali contraccolpi giuridici dei punti più contestati dell’intesa: fra le cui righe si ammette nero su bianco che la Gran Bretagna potrebbe rimanere in sostanza agganciata ai 27 «indefinitamente"; che i negoziati sulle relazioni future definitive potrebbero prolungarsi per chissà quanto; e che nel frattempo, chiusa dal 2021 la fase di transizione, l’Irlanda del Nord sarebbe tenuta - «diritto internazionale» alla mano - a restare nell’unione doganale e nel mercato unico in base al meccanismo del backstop (preteso dall’Ue a garanzia del confine aperto con Dublino) anche nel momento in cui il resto del Regno Unito ne uscisse. Creando di fatto una barriera fra Londra e Belfast, come se in materia di commerci l’Ulster potesse diventare «un Paese terzo». Il documento, in realtà, non rivela granché di nuovo o che non fosse stato già riconosciuto. Ma la fa per iscritto, senza giri di parole, in nome della legge. E getta benzina sul fuoco della furia (o dei giochi di potere) dei ribelli dell’ala più brexiteer della coalizione: i falchi alla Boris Johnson dentro i ranghi conservatori e gli alleati junior della destra unionista nordirlandese del Dup. Non è un caso che May avesse cercato di cavarsela con una sintesi del parere: salvo venire obbligata a far rilasciare il testo per intero da una mozione presentata ieri dal ministro ombra laburista Keir Starmer - sotto l’accusa senza precedenti di «oltraggio al Parlamento» - e approvata poi col voto umiliante d’un pezzo di maggioranza proprio nel giorno d’avvio del dibattito sulla ratifica dell’accordo sulla Brexit. Presa di mira nel Question Time di oggi, Theresa May ha comunque cercato di fare buon viso a cattiva sorte. S'è difesa dicendo di non aver mai negato che l’accordo fosse vincolante, né che - per volere di Bruxelles - Londra non fosse riuscita a spuntare il diritto di ripudiare «unilateralmente il backstop». Mentre ha rimarcato come il meccanismo in questione resti in fondo solo una garanzia teorica, non privo di «alternative», e come «non sia attraente» per la medesima Ue intrappolarvi la Gran Bretagna. Le sue rassicurazioni non hanno peraltro placato l'opposizione, dal Labour al capogruppo indipendentista scozzese dell’Snp alla Camera dei Comuni, Ian Blackford, che si è spinto ad accusare il governo d’aver «fuorviato il Parlamento» tanto da indurre lo speaker John Bercow a intimargli di ritirare il sospetto, gratuito allo stato, di qualunque inganno deliberato. Ma il vero imbarazzo e i veri pericoli per la premier vengono dal cortile di casa. Dove la difesa d’ufficio dell’accordo affidata oggi al ministro dell’Interno, Sajid Javid, sul tema delle garanzie di un sostanziale mantenimento della cooperazione con i 27 sulla sicurezza ha stentato a far presa in aula. Mentre l'accusa del titolare del Commercio Estero, l’euroscettico Liam Fox, ai deputati favorevoli a un referendum bis di voler «rubare la Brexit al popolo» ha solo scatenato nuove polemiche. Ma dove soprattutto s'approfondisce il solco fra May e gli unionisti del Dup, convinti che gli scenari tracciati nel parere legale sul futuro dell’Irlanda del Nord - quand’anche solo vagamente ipotetici - rappresentino «una minaccia devastante» per l'integrità del Regno. Oltre che per il loro destino.

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