In balia del mare, sospesi tra telefoni che squillano, ma nessuno risponde, e rimpalli di responsabilità. Negli occhi la strage di ieri nelle stesse acque di quel Mediterraneo che anche nel nuovo anno si conferma il cimitero dei migranti. In 100 - tra cui venti donne e dodici bambini, uno dei quali potrebbe essere morto di stenti - sono in attesa di un aiuto su un barcone in avaria 60 miglia al largo delle coste di Misurata. «Stiamo congelando, la situazione è disperata, aiutateci», dicono mentre imbarcano acqua. Altri 47, salvati ieri da un gommone che stava per affondare, sono sulla Sea Watch, sempre al largo della Libia, in attesa di conoscere quale sarà il loro destino. «Nessuno ci dà informazioni, non sappiano cosa fare, quale sarà il porto dove attraccare», dicono dall’equipaggio, che però nel frattempo ha intercettato l’allerta lanciata da Alarm Phone e si avvia verso il barcone in avaria avvistato questa mattina. «Siamo a 15 ore di distanza. Non possiamo coprire da soli il Mediterraneo, dove le persone vengono lasciate morire», accusa l’ong, impegnata in una corsa contro il tempo per evitare l’ennesima strage. A preoccupare volontari e associazioni che pattugliano il Mediterraneo è la mancanza di risposte da parte delle autorità. In particolare sotto i riflettori finisce la Libia, nella cui area di responsabilità si troverebbe il barcone, che «continua a non rispondere agli sos». In serata Palazzo Chigi - dopo aver sottolineato che «i trafficanti di esseri umani hanno riapprofittato di questo weekend di mare calmo per agire nuovamente» - fa sapere di essere «in continuo contatto con la Guardia costiera libica perché effettui questo ulteriore intervento e metta in sicurezza i migranti a bordo». Questa mattina Alarm Phone, il sistema di allerta telefonico utilizzato per segnalare imbarcazioni in difficoltà, ha ricevuto la segnalazione dell’imbarcazione in avaria al largo di Misurata. Ora per ora, minuto per minuto, ha raccontato via tweet il dramma delle 100 persone stipate nell’imbarcazione facendo il resoconto delle innumerevoli segnalazioni effettuate a Roma, La Valletta e Tripoli, quest’ultima indicata da tutti come autorità competente a coordinare i soccorsi. «Abbiamo chiamato sette numeri differenti della sala operativa della cosiddetta Guardia costiera di Tripoli - raccontano i volontari - ma non abbiamo ricevuto risposta. Malta ci ha fornito un ottavo numero, che non risponde. Tutto questo è ridicolo. Ne basterebbe uno che funzionasse. Abbiamo avvisato Italia e Malta che la Libia non è raggiungibile. Nessuno ha attivato un’operazione di soccorso». A metà pomeriggio il barcone è stato raggiunto da un velivolo, presumibilmente spagnolo, dell’operazione Ue 'Sophia', che finora si è limitato a monitorare la situazione. Che, a bordo, viene definita drammatica, con i migranti nel panico: «abbiamo paura di morire». Riguardo alla Sea Watch, fino a questa nuova emergenza la priorità è stata quella, ormai consueta, di trovare un porto dove sbarcare i 47 migranti soccorsi ieri al largo di Tripoli. «Chiediamo istruzioni e restiamo in attesa. Siamo stati rimandati ai libici che però non rispondono. Non c'è modo di parlare con loro», dice l’equipaggio prima di levare l’ancora e dirigersi verso il barcone in avaria. Un appello a «scongiurare una nuova tragedia» arriva da Save the Children e da altre associazioni, mentre la piattaforma Mediterranea chiede al Governo italiano «di non impedire l'intervento della Guardia Costiera per salvare immediatamente questi migranti. Siete informati di tutto da ore. Non potete dire che non sapevate».