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Ultimatum dell'Ue a Maduro: "Elezioni o riconosciamo Guaidò"

Nicolas Maduro

L’Ue, trainata da Germania, Francia, Spagna, dopo i primi tentennamenti si è schierata con il leader dell’opposizione Juan Guaidò, al fianco degli Stati Uniti, chiedendo elezioni in tempi brevi in Venezuela. Mentre in Italia Lega e 5 Stelle sono spaccati, sebbene in serata il titolare della Farnesina abbia assicurato che Roma si riconosce nella posizione comune europea. Quanto a Nicolas Maduro, il presidente confermato da un voto contestatissimo, non ha mostrato segni di cedimento, a dispetto di una crisi che è già costata almeno 29 morti in pochi giorni nelle proteste di piazza contro il suo regime. Potendo contare sul sostegno della Cina e soprattutto della Russia, che in una tesissima riunione del Consiglio di Sicurezza ha accusato gli americani di «tentare un golpe».

Sono giorni drammatici nel Paese sudamericano, sprofondato sull'orlo del precipizio dopo che il leader del parlamento Guaidò si è autoproclamato presidente ad interim, contestando a Maduro di essere stato rieletto con un voto truccato, lo scorso dicembre. A livello internazionale i due schieramenti, guidati da Usa e Russia, si sono subito delineati, ma in Europa hanno pesato ancora una volta le distanze tra i 28. Oggi però c'è stato uno scatto in avanti, avviato sulla direttrice Berlino-Parigi-Madrid. Il presidente francese Emmanuel Macron, il premier spagnolo Pedro Sanchez e la cancelliera tedesca Angela Merkel hanno lanciato un ultimatum a Maduro praticamente con le stesse parole: elezioni «eque, libere e democratiche" entro otto giorni oppure Guaidò verrà riconosciuto presidente del Venezuela. Londra si è poi espressa allo stesso modo, e alla fine anche Bruxelles ha battuto un colpo. L’Alto Rappresentante Federica Mogherini ha avvertito che in assenza di un annuncio su nuove elezioni nei prossimi giorni, l’Ue «intraprenderà ulteriori azioni, anche sul riconoscimento della leadership del Paese».

La linea Ue è quella dell’Italia, che ha partecipato alla stesura del documento, ha chiarito il ministro degli Esteri Enzo Moavero, anche se il premier Giuseppe Conte ha messo in guardia "dall’impositivo intervento di Paesi stranieri». Dando conto probabilmente delle diverse visioni all’interno della sua maggioranza, con i leghisti schierati contro Maduro ed i pentastellati molto più cauti. Guaidò ha ringraziato i leader europei del loro sostegno, quanto mai utile per la difficile partita che sta conducendo. La sfida è ad un presidente padre-padrone da oltre cinque anni, accusato di metodi autoritari per aver esautorato il Parlamento, imprigionato gli avversari politici e represso le proteste con il sangue, con l’aggravante di aver condotto il Paese al collasso economico. Il suo obiettivo è di convocare elezioni entro trenta giorni, e nel frattempo ha organizzato assemblee popolari in tutto il Venezuela per spiegare le sue ragioni. Mentre domani incontrerà alcuni esponenti militari, il cui supporto sarebbe decisivo per un cambio di regime a Caracas.

L'operazione di Guaidò sembra vincente, almeno stando a quanto riferito dagli ultimi sondaggi, secondo cui oltre l’80% dei venezuelani lo ritiene il «presidente legittimo». Sul fronte opposto Maduro continua ad ostentare sicurezza, anzi ha rinnovato la sua sfida agli Stati Uniti, che per primi hanno riconosciuto Guaidò: «Non riposeremo fino a quando non avremo sconfitto il colpo di Stato con cui si pretende di interferire nella vita politica del Venezuela, mettere da parte la nostra sovranità e instaurare un governo fantoccio dell’Impero statunitense», ha avvertito. La contesa si è consumata anche in Consiglio di Sicurezza, durante una riunione convocata dagli americani. «L'esperimento socialista in Venezuela è fallito», ha scandito il segretario di Stato Mike Pompeo, accusando il regime di Maduro di aver ridotto la popolazione «alla fame» e invocando «elezioni libere il prima possibile».

«Ultimatum inaccettabili», è stata la replica dell’ambasciatore di Caracas, con lo scudo dei cinesi, che hanno chiesto la fine delle «interferenze esterne», ma soprattutto dei russi. Il rappresentante di Mosca al Palazzo di Vetro è stato durissimo: Trump vuole soltanto «destabilizzare la situazione per arrivare a un cambio di regime, continuando a considerare l'America Latina come il cortile di casa». La protezione russa, almeno in teoria, dovrebbe far dormire sonni tranquilli a Maduro. Anche in Venezuela, come è accaduto in Siria, Mosca si muove attivamente sul terreno per tutelare i propri interessi strategici, in questo caso soprattutto il petrolio. Secondo la Reuters, un contingente con centinaia di contractor privati sarebbe già stata inviata in Venezuela. Sulla carta, per proteggere il presidente. In pratica, per dare man forte al regime. Anche a costo di nuove sanguinose repressioni.

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