Juan Guaidò incassa un altro sostegno importante a livello internazionale, perché il Parlamento europeo lo ha riconosciuto come leader legittimo del Venezuela. L'Italia invece, trainata dai 5 Stelle, rimane un passo indietro. «Non lo riconosciamo, non vogliamo un’altra Libia», ha chiarito dal governo il sottosegretario agli Esteri Manlio di Stefano, mentre a Strasburgo i suoi compagni di partito e la Lega si astenevano. Certificando la linea prudente di Roma, nel giorno in cui Parigi ha lanciato un nuovo ultimatum a Nicolas Maduro, affiancata da Madrid, Berlino e Londra. Dall’Eurocamera è arrivato il primo formale sostegno europeo, anche se non vincolante, al presidente del parlamento venezuelano autoproclamatosi capo dell’esecutivo contro Maduro. In una miniplenaria, gli europarlamentari hanno dato il via libera ad una risoluzione (439 sì, 104 no e 88 astensioni) in cui hanno esortato gli Stati membri a riconoscere Guaidò fino a quando non saranno indette nuove elezioni presidenziali. Anche i ministri degli Esteri europei, riuniti a Bucarest, si sono mossi: l’Alto rappresentante Federica Mogherini ha annunciato che l’Ue vuole coordinare un gruppo di contatto internazionale per facilitare l’approdo ad un nuovo voto in Venezuela. Nell’Ue il fronte anti-Maduro è guidato da un’avanguardia di quattro paesi, che per primi gli hanno dato un ultimatum la settimana scorsa: otto giorni per convocare elezioni presidenziali. Oggi, la Francia ha ricordato che le lancette corrono e se non ci sarà una data entro domenica, Parigi, Madrid, Londra e Berlino riconosceranno Guaidò. In questo schieramento l’Italia continua a chiamarsi fuori, pur aderendo a tutte le iniziative Ue, come ribadito ieri in Senato dal ministro degli Esteri Enzo Moavero Milanesi. Sono soprattutto i 5 Stelle ad opporsi, e nel governo lo ha sostenuto chiaramente il sottosegretario Di Stefano: «L'Italia - ha affermato - non riconosce Guaidò perché siamo totalmente contrari al fatto che un Paese o un insieme di Paesi terzi possano determinare le politiche interne di un altro Paese». Anche la Lega a Strasburgo si è astenuta su Guaidò, sebbene in serata il sottosegretario agli Esteri Guglielmo Picchi abbia chiarito che per il Carroccio «la presidenza Maduro è terminata». I leghisti vogliono la convocazione di nuove elezioni con la garanzia di osservatori indipendenti ma - è il ragionamento che si raccoglie da fonti del partito - riconoscere ora il leader dell’opposizione potrebbe aggravare la situazione interna, con rischi per i nostri connazionali. Posizione italiana a parte, a Caracas Guaidò ha ringraziato l'Europarlamento per il sostegno, in un colloquio con il presidente Antonio Tajani, per avviare una cooperazione con l'Europa per la protezione dei beni venezuelani all’estero e per gli aiuti umanitari. Ma in casa il leader dell’opposizione deve affrontare una partita molto delicata. Lui stesso ha denunciato che le forze speciali fedeli a Maduro sono entrate in casa sua, per cercare la moglie, costringendolo ad interrompere la presentazione del programma dell’opposizione. «Cercano di impaurirci, ma non ce la faranno», ha assicurato Guaidò, anche se questo blitz dimostra quanto sia vitale assicurarsi il sostegno delle forze armate. L’autoproclamato presidente ha confermato di aver avuto «incontri clandestini con membri delle forze armate e delle forze di sicurezza» e di scommettere sul fatto che «la maggioranza» dei militari ritenga «insostenibili i recenti travagli del Paese». E per incentivarli, ha più volte promesso un’amnistia. Guaidò, oltre ad avere il sostegno di oltre 60 paesi, sente di avere anche la fiducia della maggioranza della popolazione, che per la prima volta in decenni di chavismo si sarebbe ribellata ad un regime che ha messo in ginocchio il paese, riducendolo praticamente alla fame e cancellando i basilari diritti umani. «A Maduro resta poco tempo», ha assicurato Guaidò, che ha lanciato un appello all’unità dei venezuelani "fino alla rottura finale del regime», ripetendo la sua road map in tre punti: «Fine dell’usurpazione, governo di transizione ed elezioni libere», al massimo entro un anno. Maduro però continua a tenere il punto, a parte la concessione di elezioni politiche. Il suo governo ha rilanciato le accuse di una «cospirazione internazionale», che sarebbe dovuta culminare con l’assassinio del presidente, con il coinvolgimento della Cia, «sicari colombiani» e dell’opposizione in esilio. Allo stesso tempo, le pressioni internazionali hanno convinto il regime a rilasciare cinque giornalisti stranieri, tre dell’agenzia spagnola Efe e due francesi, che erano stati arrestati. In un atto dal sapore chiaramente intimidatorio.