Nel Mediterraneo centrale non più battuto dalle navi umanitarie un gommone alla deriva con oltre cento persone a bordo è stato soccorso dalla guardia costiera libica che ha riportato indietro i migranti sulle coste africane. «Non si tratta di salvataggio, ma di cattura». denuncia Mediterranea saving humans, la piattaforma delle associazioni italiane. «Tutti salvi, tutti tornati da dove erano partiti. Bene», è invece il commento del ministro dell’Interno Matteo Salvini.
La portavoce dell’Unhcr, Carlotta Sami, definisce il Mediterraneo «frontiera sempre più mortale per chi fugge da violenza e disperazione». Nelle prime settimane del 2019, rileva, sono arrivate vive in Italia 202 persone, mentre 144 sono annegate. In mattinata Alarm Phone - il servizio che offre un numero telefonico da contattare per i migranti in pericolo in mare - ha ricevuto una chiamata da un’imbarcazione partita da Khoms, ad est di Tripoli: il motore aveva smesso di funzionare.
A bordo, secondo le prime informazioni, «150 persone a rischio», tra le quali 50-60 donne (qualcuna anche incinta), 30 minori. «Le autorità italiane e maltesi sono state informate a mezzogiorno», ha comunicato Alarm Phone, aggiungendo che le condizioni meteo nel Mediterraneo Centrale sono migliorate «e quindi c'è gente che priva a fuggire dalla Libia». I migranti, aggiunge, «temono di essere riportati in Libia, loro cercano libertà in Europa».
Sotto accusa le autorità italiane, che «ancora una volta hanno rifiutato di assumersi la responsabilità dell’intervento ed hanno invece informato» i libici. Effettivamente, si apprende da fonti italiane, la guardia costiera di Tripoli ha assunto il coordinamento delle operazioni di soccorso, in quanto l’imbarcazione si trovava nell’area Sar di sua competenza e ha inviato un mezzo nell’area. Al termine del salvataggio sono stati recuperati circa cento migranti.
«Non ci tranquillizza affatto - attacca Mediterranea Saving Humans - che la guardia costiera di Italia e Malta 'appaltino' il salvataggio dei naufraghi alla cosiddetta guardia costiera libica. Non vi sono le minime garanzie internazionali di rispetto dei diritti umani. Non sapremo mai se alcune di loro sono morte in questa operazione o abbandonate in mare ancora vive, come è successo in tanti interventi 'coordinati' dai libici».
Intanto, sulla Sea Watch 3 - la nave della ong tedesca che nelle scorse settimane ha sbarcato 47 migranti a Catania dopo un lungo braccio di ferro con l’Italia - sono saliti oggi per un’ispezione i tecnici del ministero delle Infrastrutture olandese (l'Olanda è lo Stato di bandiera della nave sempre ormeggiata nel porto siciliano). Vogliono verificare, denuncia la ong, «la capacità di Sea-Watch 3 di ospitare, per periodi lunghi, le persone soccorse.
Ma le navi di salvataggio non possono soddisfare questa richiesta. È evidente che lo scopo di questa ispezione non sia quello di garantire la sicurezza delle persone salvate ma di trovare un pretesto per bloccare una delle ultime navi di soccorso civile rimasta nel Mediterraneo».
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