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Spagna, il premier Sanchez lascia dopo 300 giorni: si voterà il 28 aprile

Pedro Sanchez

Pedro Sanchez ha gettato la spugna, dopo meno di 300 giorni al governo, e ha convocato nuove elezioni politiche, le terze in poco più di tre anni, per il prossimo 28 aprile. Per gli spagnoli si aprono intensi mesi elettorali, con il voto nella Settimana santa, che anticipa le europee, le regionali e le amministrative del 26 maggio. In parallelo al processo ai 12 leader indipendentisti, imputati di ribellione per l’autunno secessionista del 2017, che non si fermerà, con i testimoni eccellenti della politica in aula.

Di primo mattino l’annuncio del premier socialista, in una dichiarazione istituzionale dalla Moncloa di aver comunicato a re Felipe VI la decisione di sciogliere le Cortes. Il leader ha riconosciuto che, dopo la bocciatura della finanziaria decretata dai voti dei partiti indipendentisti Erc e PDeCat, uniti a quelli dei conservatori Pp e Ciudadanos, era impossibile proseguire. «La scelta era continuare a governare con una legge di bilancio che non è nostra e non risponde alle esigenze sociali del Paese, oppure impegnare tutti gli sforzi e l’energia collettiva nelle grandi trasformazioni che vogliamo», ha detto. «Fra l’immobilismo o convocare le urne, ho scelto di dare la parola agli spagnoli», ha detto difendendo i suoi 8 mesi, accusando «le destre» -ritratte nella foto della manifestazione di Pp, Ciudadanos e Vox, domenica scorsa a Madrid - di «slealtà" e di creare «un clima di tensione permanente».

E ha ribadito che non rinuncerà al dialogo con gli indipendentisti «sempre nell’ambito della Costituzione». Pedro 'El Guapò, che proprio in questi giorni manda in libreria il suo 'Manual de resistencia', dal titolo profetico, è convinto di poter tornare al timone. Dai primi passi politici, la sua traiettoria è stata un surfing fra la cresta dei successi e gli abissi dei fallimenti. E’ risorto dalle ceneri quando, espulso dalla direzione del Psoe, ha vinto le primarie puntando sulla indignazione dei militanti contro l’establishment del partito. Poi, l’approdo a sorpresa alla Moncloa, lo scorso giugno, con la mozione di censura a Mariano Rajoy, sostenuta da Podemos e dai partiti nazionalisti baschi e ai catalani.

Come il predecessore conservatore, accusato di immobilismo, è caduto sulla questione catalana, dopo il rifiuto di trattare il diritto all’autodeterminazione, in cambio del voto sovranista sulla legge di bilancio. E ora spera di sfruttare nelle urne la spinta dell’indignazione dei tanti spagnoli che auspicano una soluzione pacifica e negoziata con la regione ribelle, rispetto al «blocco del 155», formato dal Pp, Ciudadanos e il partito della destra radicale Vox, che reclamano la sospensione dell’autonomia catalana.

Tuttavia, i sondaggi prevedono un quadro molto frammentario, con il Psoe vincente, ma in un testa a testa con i Popolari e in minoranza rispetto al blocco di destra, Pp, Ciudadanos e Vox, in netto vantaggio se si presentassero uniti, come hanno già fatto in Andalusia. Anche se non è esclusa la rimonta della sinistra, che potrebbe spuntarla nel caso di riuscire a motivare l'elettorato progressista smobilitato o indeciso. Il suo esecutivo, a maggioranza femminile, ha avuto nell’annuncio dell’esumazione dei resti di Franco dal Valle de los Caídos e nell’attivismo in politica estera, i principali segni di identità. Parecchie le sbandate, soprattutto sul fronte della politica di immigrazione, inaugurata dall’accoglienza a Valencia dei 600 migranti a bordo dell’Aquarius, respinti dall’Italia, poi corretta con i respingimenti immediati alle frontiere, dopo l’alluvione di 65mila irregolari sulle coste spagnole nel 2018. L’alta dose di riformismo e il programma per "il cambio», che il governo socialista aveva riversato nella finanziaria «più sociale della storia di Spagna», saranno ora la base del programma elettorale dell’intrepido leader socialista.

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