Sono ore drammatiche in Venezuela. La "valanga umanitaria" di aiuti, annunciata dal leader dell’opposizione Juan Guaidò e destinata alla popolazione stremata del Venezuela, è stata bloccata con la forza alle frontiere da Nicolas Maduro. Le sue forze di sicurezza hanno lanciato una brutale repressione contro i manifestanti al confine con la Colombia, mentre i «colectivos» (gruppi irregolari chavisti) fedeli al presidente hanno sparato vicino a quello con il Brasile, causando almeno 4 morti e decine di feriti.
Guaidò, che ieri aveva attraversato il confine colombiano, aveva annunciato in mattinata l’inizio dell’operazione coordinata per l’ingresso degli aiuti umanitari depositati in Brasile, Colombia e Curazao dai Paesi che hanno risposto alla sua richiesta di assistenza. Poche ore dopo, però, lo stesso Guaidò ha ammesso che «solo una parte» dell’assistenza è riuscita ad entrare in Venezuela. Il leader oppositore, riconosciuto presidente ad interim da numerosi Paesi occidentali, ha accusato «un piccolo gruppo della polizia nazionale» e i 'colectivos' di «massacrare il popolo a San Antonio de Tachira, sul confine con la Colombia, con cariche e lacrimogeni, e a Santa Elena de Uarein, sul confine col Brasile, dove secondo Alfredo Romero, responsabile della ong Foro Penal, almeno 4 persone sono morte e altre 18 sono rimaste ferite.
Un camion di aiuti proveniente dal Brasile è effettivamente entrato in territorio venezuelano, almeno formalmente - come ha annunciato Guaidò e confermato il ministro brasiliano degli Esteri, Ernesto Araujo -, ma a metà pomeriggio restava comunque parcheggiato a una certa distanza dal posto di blocco della Guardia Nazionale, senza che apparentemente siano stati scaricati gli aiuti. Dall’altra parte del Paese invece, al confine con la Colombia, un primo camion di aiuti che era finalmente riuscito a passare sul versante venezuelano del ponte Francisco de Paula Santander è stato incendiato dalle forze di sicurezza. Decine di persone sono accorse per prendere gli alimenti e le medicine che si trovavano sul camion, salvandoli dalle fiamme.
Scontri e tensioni si sono registrati soprattutto sul ponte Simon Bolivar, allargandosi poi rapidamente a San Antonio de Tachira e Santa Elena de Uairén, circa 13 km più a sud sulla frontiera, dove almeno 12 persone sono rimaste ferite da colpi di arma da fuoco, secondo informazioni raccolte dalla testata web Cronica Uno. Durante la giornata, però, si sono moltiplicate le segnalazioni di militari venezuelani che si sono uniti alla causa dell’opposizione: almeno 13 si sarebbero rifugiati in Colombia, secondo le autorità di Bogotà, e altri casi si sono registrati in altri punti del paese, tra cui anche quello di un maggiore dell’esercito, Hugo Parra Martinez, sul ponte di Tienditas, e anche in altri punti del paese. Non a caso, Guaidò ha puntualizzato che «in questa occasione le Forze Armate non hanno partecipato alla repressione, hanno appoggiato il presidente legittimo».
A Caracas, nel frattempo, decina di migliaia di manifestanti oppositori hanno circondato la base aerea militare di La Carlota, per esigere alle Forze Armate che permettano l’ingresso degli aiuti umanitari nel territorio venezuelano, mentre dall’altra parte della città Nicolas Maduro ha parlato durante un meeting chavista, esibendosi anche in un ballo con la moglie, Cilia Flores. «Sono pronto a continuare a governare adesso e per molti anni ancora», ha proclamato condannando di nuovo il «golpe Imperialista» travestito da «finti aiuti umanitari». E ha annunciato la rottura dei rapporti diplomatici con la Colombia, a causa della politica di Duque, che ha definito "un diavolo" che 'odia il popolo venezuelano', e che sta dando rifugio in queste ore proprio al nemico Guaidò.
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