Il parlamento britannico non voterà sull'accordo per la Brexit «prima del 12 marzo», cioè quando mancheranno solo diciassette giorni alla data del divorzio dall'Unione europea. Lo ha detto la premier britannica, Theresa May, escludendo quindi la possibilità che il voto possa avvenire mercoledì prossimo, quando i deputati si ritroveranno a Westminster per presentare gli ennesimi emendamenti al piano. Sull'aereo che la portava a Sharm el-Sheikh, dove partecipa al primo vertice Ue-Lega Araba e ha incontrato il presidente del Consiglio europeo Donald Tusk e altri leader, la premier britannica ha comunque rassicurato che con Bruxelles «proseguono colloqui positivi» e che il divorzio entro il 29 marzo è «alla nostra portata». Anche se, secondo il Guardian, ai vertici e nei corridoi di Bruxelles si sta accarezzando una nuova idea per uscire dall’impasse: prorogare la scadenza al 2021. Un rinvio lungo, spiega il quotidiano, permetterebbe di discutere e sciogliere con calma i nodi che la fretta sta solo ingarbugliando, evitando una nuova bocciatura a breve da parte del parlamento britannico. E consentirebbe anche di coprire l'estensione temporale del budget comunitario, semplificando anche la parte finanziaria della Brexit. Il team di negoziatori della May tornerà nella capitale belga martedì. «Il governo sta parlando con l’Ue delle possibili soluzioni alle questioni sollevate dal Parlamento», ha detto la premier riferendosi al tanto contestato e discusso meccanismo del backstop sul quale oggi è tornato anche il premier irlandese Simon Coveney. «Il nostro governo non può accettare un compromesso su un tema così fondamentale come il processo di pace», ha avvertito accusando Downing Street di voler modificare il backstop per «placare un gruppo all'interno del partito conservatore che sta insistendo per allontanare il primo ministro dalle sue politiche». Certo è che l’annuncio della May su un nuovo rinvio del voto a Westminster non contribuirà a placare i venti di rivolta contro di lei. Ieri in una lettera al Daily Mail tre dei suoi ministri - delle Attività Produttive Greg Clark, del Lavoro Amber Rudd e della Giustizia David Gauke - hanno avvisato la premier che, se l’accordo non passerà, sono pronti a votare per l'estensione dell’articolo 50 e posticipare quindi la data dell’uscita dall'Unione europea. I tre "ribelli" avrebbero anche confessato, secondo il tabloid, di essere disposti a dimettersi o quantomeno a minacciare le dimissioni pur di sostenere la loro causa. Sul fronte opposto l’annuncio della May ha scatenato la reazione del ministro ombra per la Brexit, Keir Starmer, che l'ha definito «il picco dell’irresponsabilità». Alcuni deputati laburisti di primo piano, intanto, hanno detto di «essere più vicini» all'idea di sostenere un secondo referendum. Parlando con la Bbc, il vice capo del partito laburista Tom Watson ha affermato: «Quella è la direzione verso la quale stiamo avanzando, ma c'è ancora margine di manovra nei prossimi giorni».