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Argentina, morto Franco Macrì: padre del presidente Mauricio e di origini calabresi

Franco Macrì

Franco Macrì, padre dell’attuale presidente argentino Mauricio Macrì, morto a Buenos Aires a 88 anni, viene oggi ricordato come uno dei più potenti imprenditori d’Argentina. Ma l’italiano Macrì è stato anche l'avventuriero che negli anni '70 cercò di entrare nel mercato immobiliare di New York, sfidando niente meno che l’attuale presidente americano Donald Trump.

Figlio di Giorgio, costruttore di Roccella Jonica in Calabria con aspirazioni politiche (fu fra i fondatori dopo la Seconda guerra mondiale del Partito dell’'Uomo qualunquè), Franco nacque a Roma nel 1930 e a 18 anni raggiunse il padre a Buenos Aires, fondando già nel 1951 una impresa che sarebbe poi diventata la Sideco Americana.

Attivo nel settore delle costruzioni, ma anche nelle concessioni pubbliche all’ombra dei diversi governi argentini e durante la dittatura (1976-1983), Macrì esplose come imprenditore negli anni '70 e '80, quando fondò sia la compagnia Sevel (fusione dei marchi Fiat e Peugeot che ebbe fino a 100.000 dipendenti), sia - con l’americana BellSouth - la compagnia di telecomunicazioni Movicom.

Nel decennio successivo rafforzò la sua holding Socma con la concessione delle Poste (Correo Argentino), che nel 2007 si associò con la cinese Chery per lanciare nuovi modelli di automobili economiche in America latina. Un capitolo particolare nella storia delle ambizioni di Macrì fu negli anni '80, con il tentativo, risoltosi in un fiasco, di fare un salto di qualità per affermarsi come imprenditore globale cercando di costruire il maggior complesso residenziale di Manhattan a New York, il 'Lincoln West’.

Fu lui stesso a riferire la vicenda in un libro di memorie: «Le mie difficoltà si aggravarono quando apparve sulla scena il mio principale rivale nel progetto, Donald Trump, appoggiato dalla Chase Manhattan Bank. Fui costretto a vendere perché la Chase pretese garanzie assurde». Allora, racconta, «chiesi al governo argentino di sostenermi impegnandomi, con i profitti del progetto, a pagare il debito estero argentino che all’epoca era di tre miliardi di dollari. Ma la risposta fu negativa e allora fui costretto a vendere tutto quello che avevo comprato a Trump, che ricevette senza problemi, e non poteva essere altrimenti, il denaro necessario dalla stessa Chase Manhattan Bank».

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