«Siamo entrati in guerra»: Ren Zhengfei, il fondatore di Huawei, lo aveva detto chiaramente alcuni giorni fa. Ora il colosso cinese delle tlc spara il primo colpo e fa causa agli Stati Uniti, accusando l’amministrazione Trump e il Congresso di aver violato la costituzione americana mettendo al bando le sue tecnologie. Una mossa clamorosa, annunciata nel corso di un incontro con la stampa nel quartier generale di Shenzhen, la capitale della Silicon Valley cinese. Un affondo che rischia di provocare una nuova escalation nei rapporti tra Stati Uniti e Cina, e persino di pregiudicare la storica intesa sui dazi che Donald Trump e Xi Jinping dovrebbero firmare a fine marzo in Florida. Ma in gioco c'è una partita molto più ampia di quella legata alle dispute commerciali. C'è la conquista della leadership sul fronte delle reti di telecomunicazioni di nuova generazione 5G, un terreno su cui la competizione tra Usa e Cina rischia di portare a uno scontro senza precedenti. Con Washington in pressing su tutte le capitali alleate perché adottino la linea dura contro le tecnologie cinesi. Una posizione inaccettabile per Huawei, che da anni insegue il primato e ora vede a rischio gli accordi già a buon punto con Paesi come il Regno Unito, la Germania, gli Emirati Arabi o la Corea del Sud. Nel mirino dell’azione legale avviata presso una corte federale del Texas c'è la norma contenuta nel National Defense Authorization Act che, per motivi di sicurezza nazionale, vieta alle agenzie federali di comprare dispositivi e componenti hi-tech da società considerate legate a doppio filo con il governo di Pechino, come Huawei e Zte. Troppo alto - la posizione di Washington - il rischio di spionaggio. Tanto che il provvedimento vieta a qualunque ufficio governativo anche di avere rapporti con contractor che acquistino tecnologie 'made in China' sul fronte delle telecomunicazioni. «Stanno danneggiando la nostra reputazione nel mondo senza avere prove e senza darci la possibilità di difenderci», denunciano i vertici del colosso cinese che definiscono «ipocrite» le preoccupazioni americane legate allo spionaggio, accusando a loro volta gli Usa di aver hackerato i server di Huawei e di aver spiato le email del management della società. Un chiaro riferimento alle rivelazioni del 2014 dell’ex contractor della Nsa Edward Snowden. Intanto il dibattito su a chi dare le chiavi delle future reti di nuova generazione è aperto anche in Italia. I possibili rischi legati alla gestione da parte di aziende cinesi delle nuove tecnologie 5G sono all’attenzione del Copasir, che la prossima settimana dovrebbe ascoltare in audizione il presidente del Consiglio Giuseppe Conte. Successivamente il Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica dovrebbe sentire anche il vicepremier Luigi Di Maio, ministro dello Sviluppo economico. Il compito di Conte, tra l’altro a poche settimane dalla visita di Xi in Italia, sarà anche in questo caso quello di trovare una sintesi tra opinioni diverse, con il Movimento 5 Stelle che appare più favorevole al coinvolgimento di aziende cinesi, al contrario della Lega. Per ora, dunque, non esiste una posizione ufficiale dell’esecutivo giallo-verde, con il ministero guidato da Di Maio che ha smentito l’intenzione di varare un bando sulle tecnologie cinesi in seguito al pressing Usa. «Il Copasir - ha sottolineato da parte sua il presidente Lorenzo Guerini - segue con attenzione il tema che è già stato e sarà oggetto di audizioni svolte in passato o già programmate nei prossimi giorni». Lunedì scorso il Comitato ha ascoltato il direttore dell’Aise, Luciano Carta.