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Black out in Venezuela, Maduro ricompare in pubblico e grida al complotto

Nicolas Maduro

Il presidente del Venezuela, Nicolas Maduro, è ricomparso in pubblico, per la prima volta dall’inizio del blackout che paralizza il paese da giovedì scorso, per denunciare che l’interruzione dell’elettricità è dovuta a un «sabotaggio criminale» diretto dagli Usa, mentre il suo rivale Juan Guaidò è riuscito a malapena a parlare ai suoi per lanciare un appello alla mobilitazione di piazza.

Maduro, che negli ultimi tre giorni aveva solo pubblicato qualche tweet isolato, ha parlato davanti a migliaia di persone al termine della Marcia Antimperialista Bolivariana che aveva convocato a Caracas, e ha raccontato che da giovedì pomeriggio al mezzogiorno di sabato, si sono susseguiti «attacchi cibernetici, elettromagnetici e fisici» contro la rete elettrica, in una operazione organizzata con il supporto degli Usa e la complicità di «sabotatori golpisti infiltrati» nell’ente elettrico nazionale, Corpoelec.

Il presidente ha detto che in tre occasioni il governo era riuscito a ristabilire l’erogazione di energia elettrica, e ogni volta di sono registrati attacchi e sabotaggi che hanno vanificato i suoi sforzi. Maduro ha chiesto di «essere pazienti», aggiungendo che «auspica che ben presto tutti i venezuelani dispongano di quello a cui hanno diritto», senza fornire altri dettagli, e assicurando che la «nuova imboscata imperialista» sarà sconfitta come tutte le precedenti. Poco prima, in un’altra parte della città, Juan Guaidò, il presidente del Parlamento che ha assunto i poteri dell’Esecutivo, ha parlato davanti a un pubblico ben meno numeroso, in piedi su un’automobile e con un megafono in mano.

La tribuna per il suo comizio era stata smontata durante la notte dalla polizia, che ha anche tentato di impedire la concentrazione di cittadini che lo aspettavano sulla Avenida Victoria, e ostacolato sistematicamente l’arrivo dei cortei partiti da diversi punti della capitale per raggiungerlo. Anche così, il leader dell’opposizione ha chiesto alla folla si rimanere unita e mobilitata in piazza, per mantenere la pressione sul governo e «denunciare chi resta il vero responsabile della crisi della luce, della benzina, dell’acqua, degli ospedali e che ha nome e cognome: Nicolas Maduro!».

Un fattore che ha pesato anch’esso sull'affluenza alla mobilitazione antigovernativa è la situazione in cui si trovava Caracas questo sabato, con la metropolitana fuori servizio per il secondo giorno consecutivo, il terzo black out in altrettanti giorni che ha lasciato il 96% del paese senza collegamento con Internet e praticamente ogni attività sospesa per la mancanza di elettricità.

Il «megapagòn», come è già stato battezzato, ha avuto un impatto brutale in vari settori, dall’erogazione dell’acqua, compromessa dal blocco delle pompe elettriche, alle transazioni commerciali pià insignificanti -impossibile senza pagamento elettronico, in un paese in preda all’iperinflazione- passando per gli ospedali, dove l’elettricità è necessaria in modo costante.

Il ministro della Comunicazione, Jorge Rodriguez, ha detto che il blackout non ha causato vittime negli ospedali, perché il governo aveva provvisto ogni struttura sanitaria di un generatore autonomo. Ma su Twitter un medico dell’Ospedale Manuel Nunez Tovar di Maturin, Julio Castro, ha pubblicato un bilancio di 13 decessi dovuti al blackout solamente nella sua struttura, che non dispone di un generatore. E mentre il governo continua ad imputare la responsabilità del blackout - il più lungo ed esteso che si ricordi nel paese - a cospirazioni interne ed esterne, per l’opposizione, il chavismo dissidente e tecnici del settore elettrico, si tratta solo di un episodio particolarmente acuto in un processo di deterioramento della rete elettrica che va avanti da oltre un decennio, dovuto principalmente all’incompetenza e la corruzione.

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