Gli ultimi jihadisti dell’Isis e le loro famiglie sono stati cacciati oggi dall’accampamento allestito da più di un mese nel sud-est della Siria, nella pianura di Baghuz, e si sono asserragliati vicino alla riva del fiume Eufrate, dove continuano a resistere all’offensiva delle forze curdo-siriane sostenute dagli Stati Uniti. Una battaglia che si combatte ferocemente, e nella quale ha trovato la morte l’italiano Lorenzo Orsetti, che aveva imbracciato le armi contro l’Isis nelle file delle forze curde proprio sul fronte di Baghuz.
Il padre, Alessandro, stasera ha fatto sapere che - secondo alcune fonti sul campo - il corpo del figlio sarebbe stato recuperato: «I compagni curdi lo avrebbero riconosciuto», ha detto durante l’assemblea al circolo Arci, nel quartiere di Rifredi a Firenze, organizzata dalla comunità curda in Toscana e dagli amici di Lorenzo per decidere le manifestazioni in suo ricordo. La volontà del giovane, aveva detto ieri il padre, era quella di essere sepolto in Siria: «Penso che accetteremo la sua decisione, anche se non avremo un corpo su cui piangere».
Quella di combattere contro l’Isis «è stata una scelta libera di Lorenzo, non era pagato da nessuno, non era un mercenario». «Ci lascia la sua voglia di aiutare i più piccoli, i più deboli. Siamo orgogliosi di lui, molto orgogliosi, era un ragazzo d’oro, meritava di vivere molto di più», ha ricordato in lacrime la mamma Annalisa. Mentre sul Foglio Giuliano Ferrara ha proposto di dare una medaglia d’oro ad 'Orso', «caduto sul campo per la difesa della libertà, contro il fanatismo del terrorismo islamico».
Proprio l’Isis intanto non si dà per vinto: Abu Bakr al Baghdadi «è vivo» e l’annuncio di Trump sulla sconfitta dello Stato islamico «è un’allucinazione», ha attaccato nel primo messaggio dopo sei mesi il portavoce Abu Hassan al-Muhajir. Nella registrazione audio di 44 minuti pubblicata ieri dai network dello Stato Islamico si paragona tra l’altro quanto accade a Baghuz al massacro nelle moschee in Nuova Zelanda. Anche i vertici militari curdo-siriani in realtà oggi hanno frenato ogni entusiasmo riguardo alla presunta vittoria finale contro l’Isis.
«Abbiamo preso l’accampamento a Baghuz, ma la battaglia non è ancora finita», hanno avvertito a più riprese i portavoce delle Forze siriane democratiche (Sdf), piattaforma militare guidata dall’ala siriana del Pkk e che comprende anche componenti minoritarie siriane non curde. Migliaia di combattenti dell’Isis si erano rifugiati assieme ai loro familiari nelle pianure di Baghuz a febbraio, facendosi scudo dietro palazzi in macerie, veicoli distrutti e trovando rifugio in tunnel sotterranei.
Moltissimi dei jihadisti sono di nazionalità caucasiche, asiatiche. Tra loro ci sono anche combattenti di varie nazionalità arabe e occidentali. A febbraio si era parlato insistentemente della possibile presenza tra i miliziani di ostaggi civili, tra cui stranieri, come il prete italiano Paolo Dall’Oglio, scomparso in Siria nel 2013. Ma finora non ci sono riscontri della presenza di Dall’Oglio e di altri ostaggi tra i jihadisti. Questi difendono ora una striscia di territorio lungo la sponda orientale del fiume Eufrate.
Dall’altra parte del fiume ci sono truppe governative siriane e iraniane, ostili alla presenza di quelle curde e di soldati americani. Non è chiaro se e come i miliziani dell’Isis potranno fuggire dall’altra parte del corso d’acqua. Sia i curdi che gli americani accusano l’Isis di usare i civili come «scudi umani», in particolare le donne e i bambini. Un gruppo di irriducibili, almeno 12, hanno scelto di darsi la morte facendosi saltare in aria con delle cinture esplosive rifiutando la resa.
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