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Erdogan perde pure Istanbul e ora traballa

Erdogan

«Chi si prende Istanbul, si prende la Turchia». Per Recep Tayyip Erdogan, la profezia usata per chiamare a raccolta i suoi nel voto amministrativo rischia di trasformarsi in un boomerang. La Turchia è ancora sua - e non si voterà per altri 4 anni e mezzo, si è affrettato a dire - ma da ora per il presidente inizia una nuova era.

Per la prima volta da quando è al potere, nel 2002, il suo Akp non controllerà più la megalopoli sul Bosforo, cuore economico del Paese, né la capitale Ankara. Di più: l’opposizione ha blindato la roccaforte laica Smirne, terza città turca, e strappato al partito al governo tutta la fascia mediterranea, tra cui il centro industriale di Adana e il forziere turistico di Antalya. Le metropoli e la classe media voltano le spalle al 'Sultanò, che mantiene il controllo del Paese - ha il 51,6% in coalizione con i nazionalisti del Mhp - grazie al granaio di voti conservatori e religiosi dell’Anatolia e del mar Nero. Una nuova geografia che non a caso si delinea proprio nel momento peggiore per l’economia turca dalla crisi del 2001, che portò ad Ankara il Fondo monetario internazionale e spalancò a Erdogan i palazzi del potere.

Dopo un quarto di secolo, la mappa della Turchia cambia colore. «Istanbul è rossa», proclamava in mattinata il suo nuovo sindaco del laico Chp, Ekrem Imamoglu, mentre ancora si attendevano i dati di seggi rimasti bloccati per tutta la notte. Per mettere la parola fine ai conteggi, decretando una clamorosa vittoria al fotofinish per 25 mila voti scarsi, ci sono volute più di 24 ore. Eppure, non è detto che sia anche la parola fine sul voto. A più riprese accusato di brogli nelle scorse tornate elettorali, ora è l’Akp a denunciare manipolazioni di cui giura di avere le prove. I ricorsi sono già allo studio dei suoi avvocati e arriveranno alla Commissione elettorale suprema nelle prossime ore. Ma dopo lo stillicidio che ha accompagnato lo scrutinio sul Bosforo, con l’ex premier Binali Yildirim che domenica sera si dichiarava vincitore per poi essere costretto a fare un passo indietro, un nuovo rovesciamento metterebbe in ginocchio la credibilità del Paese.

Già stamani, dopo i pesanti cali pre-voto, i mercati hanno reagito con nervosismo all’incertezza. E anche il Consiglio d’Europa si è detto «non pienamente convinto che attualmente in Turchia ci sia l’ambiente elettorale libero e giusto che è necessario per elezioni genuinamente democratiche in linea con i valori e i principi europei». Decisiva per l’elezione di Imamoglu - come per quella di Mansur Yavas ad Ankara - è apparsa l’indicazione di voto giunta dal filo-curdo Hdp, che non ha presentato candidati nelle grandi città proprio per non disperdere il consenso nel fronte dell’opposizione. «Vincere in Kurdistan, far perdere l’Akp nelle metropoli», era la sua strategia dichiarata. Che ha pagato anche nel sud-est a maggioranza curda, dove nonostante una perdita di consenso in parte attesa per le valanghe di arresti è riuscita a riprendersi la 'capitalè Diyarbakir e diverse province chiave.

Ora, per la Turchia si apre una nuova stagione. Alla vigilia del voto, il governo aveva promesso stabilità per rimettere in sesto l’economia. La disoccupazione è ai massimi da dieci anni, l'inflazione pure e le code ai tendoni che vendono ortaggi a prezzi calmierati sono una spia delle difficoltà della classe media, che ha drammaticamente perso potere d’acquisto con il crollo della lira turca. Non va meglio alle imprese, fortemente indebitate in valuta estera. Per raddrizzare la situazione, i mercati invocano un’austerità che Erdogan ha concesso solo a sprazzi, e di malavoglia. E a battere cassa, adesso arriveranno anche i sindaci 'nemici'.

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