Esplode lo scontro tra Stati Uniti e Russia mentre continua pericolosamente a salire la tensione nelle strade in Venezuela. La crisi nel Paese latinoamericano ha innescato un vero e proprio braccio di ferro tra Washington e Mosca, con accuse reciproche, minacce e toni da Guerra Fredda. In una burrascosa telefonata oggi, all’indomani del «golpe fallito», come l’ha liquidato il presidente venezuelano Nicolas Maduro, il ministro degli Esteri russo Serghei Lavrov ha rinfacciato al collega americano Mike Pompeo di non aver escluso un’azione militare Usa nel Paese. «E' possibile», aveva detto Pompeo in mattinata parlando di un’azione di forza da parte di Washington.
«Se necessario, è quello che faranno gli Stati Uniti» per restaurare la democrazia, «anche se preferiremmo una transizione pacifica del potere», aveva spiegato il capo della diplomazia Usa in un’intervista tv. Immediata la reazione di Mosca, che ha ammonito Washington a non immischiarsi negli affari interni del Venezuela, minacciando altrimenti «gravi conseguenze": «E' una violazione flagrante del diritto internazionale che non ha nulla a che fare con la democrazia», ha urlato al telefono Lavrov. Altrettanto dura la replica di Pompeo, che ha accusato la Russia (e Cuba) di voler «destabilizzare» il Venezuela, mettendo così a rischio le relazioni bilaterali tra Washington e Mosca.
Il capo del Dipartimento di Stato ha quindi insistito perché la Russia cessi immediatamente le attività di sostegno a Maduro. Mentre a mettere in guardia Cuba ci ha pensato direttamente Donald Trump: «Se le truppe e le milizie cubane non cesseranno immediatamente le operazioni militari e di altro genere allo scopo di causare la morte e la distruzione della Costituzione venezuelana, imporremo un embargo totale sull'isola insieme a più sanzioni», ha tuonato in un tweet. Intanto nel Paese nuove manifestazioni di piazza per disarcionare il regime sono state convocate dal leader dell’opposizione autoproclamatosi presidente ad interim Juan Guaidò, che ha annunciato che a partire da domani inizierà un programma di scioperi scaglionati nell’amministrazione pubblica, fino a far sì che tutti i settori si uniscano in uno sciopero generale.
«Resteremo nelle strade fino ad ottenere la fine dell’usurpazione di Maduro, un governo di transizione e libere elezioni», ha assicurato Guaidò. Nuovi scontri si sono registrati in giornata, con gli agenti della Guardia nazionale bolivariana che hanno utilizzato gas lacrimogeni e sfollagente per disperdere centinaia di oppositori. E mentre i militari, almeno per oggi, non hanno dato segnali di sostegno alla rivolta, l’altro leader dell’opposizione venezuelana, Leopoldo López, ha lasciato l'ambasciata del Cile dove si era rifugiato ieri trasferendosi in quella spagnola assieme alla sua famiglia. A parte un 24enne morto negli scontri a La Victoria, gli arresti e qualche decina di feriti, il caos per ora non si è trasformato in un bagno di sangue. Ma la situazione rischia di precipitare da un momento all’altro.
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