La certezza di Gerusalemme capitale di Israele e il superamento del concetto dei «due Stati», probabilmente facendolo digerire ai palestinesi con proposte che privilegiano lo sviluppo economico dei loro territori. Sono le anticipazioni del piano di pace per il Medio Oriente che emergono da un intervento al Washington Institute for Near East policy del genero-consigliere del presidente americano, Jared Kushner, incaricato da due anni del dossier. Kushner dovrebbe svelare il piano all’inizio di giugno, alla fine del mese del Ramadan, ma intanto ha lasciato trapelare alcune indicazioni. E ha lanciato un monito: «spero che entrambe le parti lo esaminino attentamente prima di fare qualsiasi passo unilaterale», ha detto, dopo che il premier israeliano Benjamin Netanyahu si è impegnato ad annettere gli insediamenti ebraici in Cisgiordania all’indomani delle elezioni che lo hanno visto vincere. Una mossa che scatenerebbe l’ira del mondo arabo e complicherebbe gli sforzi di pace americani. Ma ciò che più allarma i palestinesi è il fatto che Kushner abbia evocato un piano che non dovrebbe fare riferimento ai «due Stati», soluzione cardine rimasta al centro di tutti i negoziati finora falliti. E che il riconoscimento di Gerusalemme come capitale di Israele, già dichiarato unilateralmente da Trump, «farà parte sicuramente di qualsiasi accordo finale». I palestinesi invece vogliono un proprio stato in Cisgiordania e nella striscia di Gaza, con Gerusalemme est come capitale. «Se dite 'due Stati', ha un significato per gli israeliani e un altro per i palestinesi», ha spiegato Kushner. «Noi abbiamo detto 'non parliamone, diciamo solo che lavoriamo sui dettagli di ciò che significa'», ha proseguito. Il genero-consigliere è convinto di essere arrivato ad un «quadro realistico, attuabile, che porterà entrambe le parti a stare meglio». «Un buon punto di partenza per le questioni politiche e un’indicazione di ciò che può essere fatto per aiutare questi popoli a vivere una vita migliore», ha proseguito. Due le componenti principali: una politica, che affronta questioni come lo status di Gerusalemme, e una economica che mira ad aiutare i palestinesi rafforzando la loro stentata economia. Un piano in cui anche le autorità israeliane sarebbero chiamate a «fare dei compromessi» - non meglio precisati - e che «dovrebbe essere molto accettabile dai palestinesi». «Il problema che si pone è se i dirigenti palestinesi avranno il coraggio di salire a bordo per migliorare veramente la vita del loro popolo: per noi è molto scoraggiante vederli attaccare un piano che non conoscono invece di discutere con noi», si è lamentato Kushner. Ma la leadership palestinese finora ha detto che non riconosce la mediazione dell’amministrazione Trump, dopo le varie mosse a favore di Israele: lo spostamento dell’ambasciata Usa a Gerusalemme, il taglio degli aiuti ai territori e la chiusura dell’ufficio di rappresentanza dell’Olp a Washington. Kushner, che è ebreo, non gode inoltre di fiducia tra i palestinesi per i suoi legami famigliari con Netanyahu. Ma lui è convinto di farcela: «Quando lavorate per un presidente, fate del vostro meglio ma potete deluderlo. Mentre quando lavorare per vostro suocero, non potete deluderlo».