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Stallo sulla Brexit, il voto locale punisce Conservatori e Laburisti

Male i Conservatori di Theresa May, non bene i Laburisti di Jeremy Corbyn: il voto locale parziale svoltosi giovedì nel Regno Unito punisce sullo sfondo dello stallo sulla Brexit entrambi i grandi partiti d’oltreManica, incapaci - pur con gradi assai diversi di responsabilità - di venirne finora a capo. E minaccia di ripetersi in peggio alle Europee di fine mese se governo e opposizione non riusciranno a trovare un accordo in extremis per chiudere la partita di una qualche uscita soft dall’Ue a tre anni dal referendum del 2016.

Il quadro d’insieme - si è andati alle urne per rinnovare 248 consigli locali e sei sindaci dell’Inghilterra profonda (escluse Londra e altre grandi città), nonché le 11 amministrazioni dell’Irlanda del Nord - è limitato e condizionato ovviamente da fattori locali. E tuttavia appare indicativo ad analisti come John Curtice, guru dei sondaggi in casa Bbc, di un sentimento di protesta contro le due forze storicamente dominanti del Paese e di un loro indebolimento complessivo in questa fase a vantaggio di partiti minori e di indipendenti vari.

Il risultato rispecchia le previsioni più nere della vigilia per il Partito Conservatore, che perde ben più di mille consiglieri comunali e circoscrizionali dei 5500 che aveva, oltre a diverse decine dei 163 consigli di cui deteneva il controllo. Mentre cancella le speranze di guadagno del Labour che, anzi, vede ridursi di circa 80 unità la pattuglia dei suoi 2200 eletti di partenza. Le buone notizie di giornata arrivano invece per i LibDem del veterano Vince Cable (già dimissionario), che raddoppiano il loro bottino toccando il picco dal 2003, e in misura minore per i Verdi.

Mentre gli euroscettici dell’Ukip - orfani del leader storico Nigel Farage e ormai confinati all’estrema destra - cedono ancora rispetto del 2015, ma recuperano sul 2017. A pagare sembra essere in effetti la fermezza sul dossier Brexit, in un senso o nell’altro (a favore l’Ukip; decisamente contro e con la chiara invocazione di un referendum bis sia i Libdem sia a Verdi). Una chiarezza che contrasta con le divisioni interne alla parrocchia Tory e il fallimento prolungato del governo May in materia.

Come pure con le ambiguità attribuite alla leadership di Corbyn nel Labour, impegnato a tenersi in equilibrio fra le istanze contrapposte del suo elettorato - pro Remain per circa due terzi, pro Leave per un terzo (ma anche di più nelle zone rurali in cui si è votato ieri) - con una sorta di linea mediana che rischia di scontentare gli uni e gli altri. L’urgenza di May e Corbyn, indicata da alcuni analisti, appare a questo punto quella di cercare l’intesa per mettersi alle spalle la questione Brexit.

Intesa peraltro problematica, in mancanza di un compromesso per annacquare il divorzio da Bruxelles con la permanenza di Londra nell’unione doganale. Parlando oggi in Scozia, la premier ha interpretato in effetti il messaggio degli elettori come una spinta a fare presto nel portare a compimento l’uscita dall’Ue con l’ok del Parlamento di Westminster. Ma il tempo per arrivare al traguardo in tempo utile per evitare le Europee sta scadendo.

E il voto per Strasburgo potrebbe avere sull'isola la forza di un cataclisma vero, con la presenza ai nastri anche di partiti monotematici assenti ieri. Come Change Uk, sul fronte filo Ue, ma soprattutto come il nuovo Brexit Party di Farage, accreditato ora da un sondaggio YouGov di un trionfale 30% di suffragi potenziali in grado di schiantare letteralmente i Tories e non solo. Scatenando poi chissà quale onda anomala.

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