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Esportazioni, nuova guerra economica tra Usa e Cina

Donald Trump

La tregua tra Usa e Cina è finita, almeno per ora. Doveva essere la pax commerciale e invece l’amministrazione Trump ha fatto scattare i nuovi dazi su 200 miliardi di prodotti made in China, aumentandoli dal 10 al 25% e innescando l’inevitabile rappresaglia di Pechino.

Una spirale che fa tremare la comunità internazionale e i mercati, con Wall Street che affonda e chiude la peggiore settimana dall’inizio del 2019.

Le due giornate di trattative a Washington si sono concluse con un nulla di fatto. Una fumata nera che ha vanificato la speranza di un’intesa in extremis, un compromesso che evitasse la nuova escalation. Del resto Donald Trump è stato chiaro: «Le trattative proseguono in maniera molto cordiale e un’intesa è ancora possibile. Ma la Cina non può pensare di negoziare un accordo con gli Usa all’ultimo minuto. Questa non è l'amministrazione Obama o l’amministrazione di Sleeping Joe», ha scritto su Twitter, riferendosi a Joe Biden, l’avversario più accreditato per la sfida della Casa Bianca nel 2020.

Per Trump, dunque, «non c'è fretta». Questo il messaggio che i suoi hanno consegnato nelle mani del vicepremier di Pechino Liu He. Non solo. Il presidente americano alza il tiro e minaccia come il peggio potrebbe ancora arrivare, tornando ad agitare lo spettro di dazi al 25% sui restanti 350 miliardi di dollari di prodotti che la Cina esporta in Usa. Uno scenario da incubo, con le barriere commerciali che in pratica colpirebbero il totale dell’export di Pechino negli Stati Uniti, valutato lo scorso anno in circa 540 miliardi di dollari.

«I dazi rendono l'America più forte, non più debole», assicura il presidente americano, respingendo le previsioni di quegli esperti che alla Casa Bianca vengono considerati dei 'gufì. Quelli che nello scenario peggiore, lo scontro totale con la Cina, prevedono una recessione dell’economia americana entro la fine del 2020, proprio quando si andrà a votare per le elezioni presidenziali.

Intanto Pechino si appresta a pagare cara la retromarcia fatta venerdì scorso sulla bozza di accordo messa a punto in mesi di lavoro, un accordo che sembrava ormai fatto. L’aumento dei dazi Usa scattato alla mezzanotte tra giovedì e venerdì rischia di rallentare ulteriormente la crescita economica del Dragone e di pesare sul suo pil intorno allo 0,3%. Le misure varate dagli Usa colpiscono 5.700 prodotti made in China, dai seggioloni per bambini alle lucette degli alberi di Natale, ma anche dispositivi elettronici, schede per computer, mobili, piastrelle, componenti per auto, generi alimentari.  Si attende ora la risposta che le autorità cinesi hanno definito «inevitabile": «Siamo costretti», dicono da Pechino, ma Trump appare tranquillo. Meno lo sono in tanti nella sua amministrazione. Al di là dei contro-dazi attesi, il vero incubo è sempre lo stesso: il fantasma del debito, quell' «opzione nucleare» che il gigante asiatico potrebbe decidere di mettere
sul tavolo per mettere l’America del tycoon alle corde.

Ci sono stati segnali inquietanti in questi giorni, con le due ultime aste dei titoli del Tesoro Usa disertate dalla Cina, notoriamente il principale acquirente. Al di là dei toni,  insomma, sia Trump che Xi sembrano condannati a sancire quel patto tanto atteso, perchè ne va della loro leadership mondiale e interna. Ma in tempi di grande instabilità economica e finanziaria il rischio è che la pace arrivi troppo tardi.

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